Clima e guerre, caffè e cacao in crisi
Il chilometro zero, chi se lo ricorda? Decenni prima che il ministro Lollobrigida facesse tornare di moda la sovranità alimentare era partita una battaglia per il cibo locale, per le produzioni di prossimità, per l’erba del vicino (che è sempre più verde). Una riflessione sacrosanta, in un mondo in cui la globalizzazione provocava e provoca anche distorsioni, come hanno sottolineato i trattori in giro per l’europa nelle scorse settimane. Il chilometro zero era una reazione a trasporti con enorme impatto ambientale, all’import da paesi con agricoltura non controllata, alle speculazioni. Presto, però, ci si è resi conto che «chilometro zero» era un concetto un po’ grossolano: dobbiamo smettere di mangiare banane? Non possiamo più fare i biscotti alla cannella? Dunque l’idea s’è fatta più precisa ed è stata declinata in «chilometro vero» o in «chilometro consapevole» (cui hanno dedicato un libro Carlo Petrini e Carlo Catani). In sostanza: non tutto ciò che viene da distante è male, dipende da chi e come lo produce, da come viaggia, da come si consuma.
Mi perdonerete questa breve introduzione, ma è necessaria perché oggi voglio parlare di cacao e di caffè, due prodotti che definiscono l’identità della cucina italiana, di quella piemontese e torinese in particolare. Due piante che non crescono a zero chilometri di distanza, ma a migliaia. Cacao e caffè stanno vivendo una crisi che non si vedeva da decenni: la somma dei guai nelle aree di provenienza — da quelli climatici a quelli politici — e dello stress delle rotte del commercio internazionale, nel Mar Rosso in particolare, stanno rendendo difficilissimi gli approvvigionamenti e carissime le merci che riescono ad arrivare a destinazione. Il cacao e il caffè crescono in climi molto diversi dal nostro (almeno: fino a oggi) ma da secoli sono nel nostro DNA, e pochi, come gli italiani, ne hanno tratte leccornie. Il Piemonte e Torino in particolare: le eccellenti torrefazioni nel capoluogo e nell’area metropolitana — grandi, medie e piccole —, i cioccolatieri, il gianduia, che ha fatto incontrare in maniera geniale un gusto lontanissimo e uno vicinissimo, cacao e nocciola, a dimostrazione che i sapori, quando viaggiano e s’intrecciano, producono meraviglie. Le crisi di cacao e caffè dicono che nessuna cucina è un’isola, che pensarsi liberi dal resto del mondo è un errore, a meno che non si voglia tornare a mettere cicoria nella moka. Il cibo (come le persone) deve poter viaggiare, se non si vuole tornare nella preistoria. Che mondo sarebbe senza espresso? Che mondo sarebbe senza Nutella?