Ritrovare Margherita Sarfatti, oltre il Duce
Margherita Sarfatti era ebrea e fu la prima donna critica d’arte in Europa. Fondò il gruppo artistico Novecento. Fu giornalista e scrittrice. Eppure, non è la Storia a parlarci di lei. Perché nonostante tutte queste cose, nonostante il suo talento, c’è solo una sfumatura della sua vita intensa che l’ha traghettata nei decenni: fu l’amante di Benito Mussolini. «Margherita Sarfatti ha fatto molti errori, ma li ha pagati tutti. Come spesso accade al genere femminile», dice la storica Rachele Ferrario. La sua figura è ritornata in auge grazie alla trilogia di Antonio Scurati. In televisione, Sonia Bergamasco che ne ha vestito i panni per la docuserie di Rai Storia
Il segno delle donne, l’ha definita una donna segnata dal dramma.
A tirarne le somme ma aprendo, contemporaneamente, una nuova dimensione della sua figura, è la lontana nipote Micol Sarfatti, giornalista di 7 del Corriere della Sera che ha scritto, per Giulio Perrone Editore, un saggio a lei dedicato e oggi (alle 18) lo presenta al Circolo dei lettori. Nelle pagine v’è spazio per le luci e le ombre di questo personaggio fuori dal comune che la giornalista ha incrociato per la prima volta a sei anni quando ne sentì parlare dalla madre a un’amica che aveva invitato a cena. Mussolini lo incontrò nella redazione dell’avanti!, e in quegli anni era lei che splendeva, che gli insegnava come muoversi in società, che lo guidava. «Il libro mette in luce la sua complessità — sottolinea l’autrice —, io per prima mi sono più volte interrogata sulle sue azioni. Non è stato semplice neppure per me confrontarmi, in molte occasioni, con il suo lascito storico. Il percorso di Sarfatti non è lineare e tuttora, portando in giro il libro, non riesco ad averne un’opinione positiva al 100 per cento. Una cosa incredibile è però l’attrazione che la sua figura esercita sulle giovani donne. Se fossimo a Hollywood avrebbero già fatto almeno un film su di lei». Micol Sarfatti riporta un accadimento avvenuto negli anni 50, durante un incontro del Pen Club quando critici e giornalisti, avendola riconosciuta, si rifiutarono di salire con lei sul tram. Indro Montanelli se ne accorse e le offrì il braccio. «Come abbia potuto, con i suoi strumenti, cadere in quel vicolo senza uscita è difficile da capire. Lei aveva 32 anni, lui 29, entrambi erano socialisti. Erano un uomo e una donna innamorati. La sua colpa è stata ignorare i campanelli d’allarme del fascismo squadrista. Non ne prende le distanze. Lei scapperà in Sudamerica, sua sorella morirà in campo di concentramento. Non credo se lo sia mai perdonato».
Il saggio mette in luce la sua complessità Se fossimo a Hollywood avrebbero già fatto almeno un film su di lei