«Per me la musica è da sempre Liberazione»
Saranno ingredienti eterogenei quelli che andranno a comporre la ricetta del concerto del 25 aprile, promosso dal Comune di Torino (con Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale, Polo del ‘900 e Fondazione per la Cultura). Dedicato a Dante Di Nanni e introdotto da letture sulla Resistenza a cura di Sara D’amario, giovedì prossimo lo spettacolo al Teatro Regio avrà come protagonista la cantautrice maliana Fatoumata Diawara e rientrerà anche nel cartellone del Torino Jazz Festival.
La sua musica è stata definita in tanti modi diversi: world music, desert blues, wassolou (un genere dell’africa Occidentale). Qual è il più corretto?
«Non sono una grande fan delle etichette, preferisco pensare che la mia musica faccia parte di me. Sono africana e combino elementi del mio background tradizionale con idee contemporanee».
Tra queste ci sono anche tracce di jazz?
«Sì, certo. Amo il jazz, mi sono esibita spesso nei festival e ho collaborato con jazzisti straordinari. Sono sempre aperta alle collaborazioni organiche, naturali, indipendenti dal genere».
Si esibirà il giorno della Festa della Liberazione. La musica è anche liberazione?
«Io ho iniziato come attrice a Bamako. Quando mi hanno fissato un matrimonio combinato sono fuggita e ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste in una compagnia teatrale a Nantes. Poi è arrivata la musica e sì, ha avuto un effetto liberatorio, perché mi ha permesso di esprimere me stessa attraverso le canzoni. In esse c’è sempre un messaggio d’amore e di unità. Il 25 aprile condividerò il mio ultimo album con il pubblico torinese, celebrando assieme la vita».
Il disco ha un titolo curioso: London Ko. Significa che vuol mandare Londra al tappeto?
«No, “ko” si riferisce a Bamako. Prima avrei potuto mettere qualsiasi destinazione — è un album senza confini — ma visto che vi ha partecipato il musicista inglese Damon Albarn, è un omaggio nei suoi confronti».
Nella loro canzone Africa su Marte, i torinesi Subsonica hanno preso un vecchio progetto spaziale africano del secolo scorso come simbolo della scomparsa dell’utopia. In Africa si sogna ancora?
«Oggi vivo vicino a Milano con mio marito e i miei figli, ma torno ogni anno a Bamako per mantenere i contatti con la mia famiglia e le mie radici. L’africa è un continente meraviglioso da esplorare: sarebbe importante che le persone la visitassero e conoscessero la sua gente, il cibo, la cultura, la musica, per comprenderne la vera natura, che non è solo quella che si vede nei notiziari».