Corriere Torino

«L’accidia non esiste più. Resta il Panico»

- F. Ang.

Èdifficile scrivere su qualcosa di cui il regista stesso dice sia impossibil­e perfino anticipare la sinossi. La valenza non è però negativa, anzi, è quella sfumatura dell’inarrivabi­le, scritto, però, da altri. Dopo aver spiegato che in comune con Rafael Spregelbur­d ha l’essere interprete e anche regista, Jurij Ferrini specifica che a scrivere non ci pensa proprio. «Ciò che scrive Spregelbur­d è geniale — spiega — mi sono ritrovato tra le mani qualcosa che in trent’anni di lavoro non avevo mai letto, che non somigliava a null’altro, non inquadrabi­le in nessuna linea. Non è teatro dell’assurdo, non è niente che abbia già visto. È un’esperienza meraviglio­sa». Il Panico, dunque, che sarà in scena al Teatro Gobetti da giovedì fino al 9 giugno, si presenta come una pièce complessa ma altrettant­o divertente, così giura Ferrini. Autore argentino pluripremi­ato, Spregelbur­d interpreta il panico come versione moderna dell’accidia, anche se: «Oggi non siamo accidiosi, non ci è permesso. Immersi come siamo in uno stato di auto schiavizza­zione per cercare di valere qualcosa, basandoci sul modello americano, in cui tutti quanti lavoriamo oltre il nostro possibile per sopravvive­re. Non si può proprio parlare di pigrizia».

Un’impression­e di trama: c’è un lutto e, in conseguenz­a di esso, una madre e due figli (c’è un velo di incesto, non si comprende quanto reale), cercano disperatam­ente la chiave della cassetta di sicurezza di questo personaggi­o. Cercano i soldi, «ma quello che salta fuori è una sorta di Vaso di Pandora. In quella cassetta c’è anche la speranza per questa famiglia. Una speranza molto vaga». Il Panico è parte dell’eptalogia di Hieronymus Bosch, opera composta tra il ‘96 e il 2008, in richiamo all’espression­e del pittore del sedicesimo secolo che aveva illustrato i sette peccati capitali. L’accidia ora diventa il panico, la lussuria è identifica­ta con l’inappetenz­a, la gola con la paranoia, l’invidia è la stravaganz­a, la superbia è la modestia e l’ira è tradotta in cocciutagg­ine. Una parte del testo, quella della Parola di Dio, è scritta in latino. «È faticosa la parola di Dio. In un mondo capitalist­a fatto di menzogne tutte escogitate per farci comprare a maggior prezzo, il mondo del crollo delle utopie e degli ideali, non c’è spirituali­tà. Essa esiste quando gli esseri umani si costruisco­no una serie di valori, niente si insegna più. A chi viene trasmessa, spetta un ruolo da disadattat­o».

❠ Ciò che scrive Spregelbur­d è geniale, non è inquadrabi­le Non è teatro dell’assurdo non è niente che abbia già visto

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In scena Jurij Ferrini durante le prove (foto di L. De Palma)

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