«Sul caporalato non siamo fermi Ma Meloni convochi il tavolo»
Gribaudo: «Nessuna scoperta scioccante, ce ne occupiamo da più di dieci anni»
❠ Con le istituzioni È fondamentale che questo percorso sia fatto insieme tra imprese, sindacati e terzo settore
«Nessuna scoperta scioccante. Il fenomeno esiste da anni e mi stupisco sia arrivato alla ribalta mediatica solo adesso». Così, la vicepresidente del Partito Democratico Chiara Gribaudo sulla questione caporalato in Piemonte.
Esiste da anni, ma qualcuno se n’è mai occupato?
«Io e soprattutto alcuni amministratori, pochi ma molto seri, ce ne occupiamo da più di 10 anni. In particolare nel comparto frutticolo cuneese, dove con la giunta regionale di Sergio Chiamparino partorimmo il primo protocollo di intesa territoriale, altroché Cirio. Poi, col Pd al governo e il vice ministro Mauri migliorammo quell’intesa, anche introducendo dei finanziamenti importanti che proseguono da allora».
Delle manifestazioni pubbliche e della presenza dei produttori, cosa pensa?
«Bene che se ne parli pubblicamente e anche che ci siano i produttori, serve un’alleanza tra lavoratori e chi fa buona impresa. Abbiamo bisogno di più rapidità. Ricordo che la legge sul caporalato, fatta dall’ex ministro del Pd Martina, ha introdotto per la prima volta la modifica al 603 bis introducendo il reato di caporalato, era il 2016. Tutti i report sono datati 2022 perché il governo di Giorgia Meloni non ha più convocato il tavolo nazionale sul caporalato».
Come sono questi dati?
«Lo dico da presidente di una commissione d’inchiesta parlamentare che approfondisce anche questo fenomeno (lunedì ero a Foggia, e la scorsa settimana sono stata a Latina): i dati a nostra disposizione sulla filiera controllata, sul lavoro interistituzionale, sono tutti fermi al 2022. Il 2023 è scomparso dai radar e anche dopo tutti questi eventi il ministro Lollobrigida non fa nulla di operativo. Per fortuna le forze dell’ordine e un pezzo di apparato dello Stato stanno facendo con pochi mezzi e personale un lavoro incredibile».
Cosa ci dicono questi accadimenti circa il razzismo in Piemonte e anche rispetto allo sfruttamento del lavoro che azzera la distanza Nord/ Sud?
«Questo è un razzismo predatorio che ha la sua cifra nella totale spregiudicatezza che lucra sulla ricattabilità e la sofferenza dell’ultimo anello della catena, lo straniero povero e criminalizzato».
La posizione del Pd?
«Intanto bisogna riattivare e attuare la 199/2016, abolire la Bossi/fini e rivedere i decreti flussi che hanno modalità burocratiche e quote sbagliate. Abbiamo bisogno di canali pubblici obbligatori per il collocamento di figure ultra temporanee e di costruire una politica del trasporto poiché a esso si lega il confine sottile tra tratta umana e caporalato. Lavoriamo alla parificazione e riduzione dei carichi contributivi sul territorio nazionale. Potrei continuare, ma se facessimo già questo diventeremmo un Paese serio».
Ci si può unire su questi temi?
«Se non per convinzione anche solo per convenienza: se parte una dinamica mediatica di forte critica sulle condizioni di lavoro nel ricco comparto vitivinicolo cuneese, abbiamo presente quali incalcolabili danni può subire il nostro territorio? Vorrei però infine ricordare che le imprese piemontesi, dalle più grandi alle più piccole, non devono essere demonizzate, perché moltissime hanno un impianto di valori sani, che sono i valori del lavoro, della solidarietà e della fatica della nostra terra. È fondamentale che questo percorso sia fatto insieme tra imprese, sindacati e terzo settore (ricordiamo il modello straordinario di accoglienza attivato a Saluzzo) e istituzioni. Le poche imprese che si abbandonano ai servizi dei capitali e al sistema del caporalato fanno una concorrenza sleale a tutte le altre imprese sane».