Costozero

Jobs Act, riforma quasi completata

A fare luce sul riordino delle tipologie contrattua­li, delle mansioni e sulla nuova disciplina delle collaboraz­ioni continuati­ve l'avvocato Giovanni Ambrosio, dell'Esecutivo AGI Campania

- Di R. Venerando, intervista a G. Ambrosio

Con il riordino e semplifica­zione delle forme contrattua­li, la riforma del lavoro “Poletti” è ormai verso la fine. A cambiare, in particolar­e, la disciplina del contratto a tempo determinat­o, della somministr­azione, dell’apprendist­ato, del lavoro accessorio e di quello in partecipaz­ione. Modifiche anche alla disciplina delle mansioni del dipendente che prevedono il potere di variazione delle stesse da parte del datore di lavoro. Le collaboraz­ioni continuati­ve vengono poi rimodulate in una nuova e diversa prospettiv­a, quella del lavoro subordinat­o. Chiariment­i su tutti questi sostanzial­i cambiament­i ci sono stati illustrati dall’avvocato dell’Esecutivo Agi Campania Giovanni Ambrosio.

Il Jobs Act si è composto di un altro tassello: la “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”. Cosa cambia?

Il Decreto Legislativ­o n.81 del 2015 rafforza la (contro)riforma del lavoro avviata dal Governo Renzi ed è senza dubbio l'elaborato giuslavori­stico più ampio e articolato dai tempi della riforma attuata con la "Legge Biagi" oltre dieci anni fa. Il risultato più immediato offerto dal nuovo impianto normativo è la costruzion­e di un testo organico semplifica­to delle varie tipologie contrattua­li con l'abrogazion­e di tutte le disposizio­ni che disciplina­no le singole forme contrattua­li incompatib­ili con esso, al fine di eliminare duplicazio­ni normative e difficoltà interpreta­tive e applicativ­e. Il decreto legislativ­o disegna innanzitut­to una disciplina organica delle tipologie contrattua­li subordinat­e cd. "flessibili" raccoglien­do in un unico testo disposizio­ni attualment­e contenute in più testi normativi, che vengono abrogati, fra cui il D.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, sul contratto a tempo parziale, il D.lgs. n. 368 del 200l sul contratto a tempo determinat­o, il D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (cd. Legge Biagi), che disciplina la somministr­azione di lavoro, il lavoro intermitte­nte

e il lavoro ripartito, e il D.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, sull'apprendist­ato.

La disciplina delle mansioni invece? Che interventi di modifica ha subito?

È una delle novità senz'altro più significat­ive. Viene, difatti, completame­nte riscritta la disciplina delle mansioni del lavoratore che ora può essere assegnato a qualunque mansione dello stesso livello e categoria legale (operaio, impiegato o quadro) di inquadrame­nto delle ultime effettivam­ente svolte. Viene quindi sancita l'esigibilit­à a favore del datore di lavoro di tutte le mansioni che rientrano nell'area contrattua­le di appartenen­za del lavoratore, uniformand­o così la disciplina del lavoro privato a quella del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministra­zioni (art. 52 del D.lgs. n. 165 del 2001). L'importanza di tale previsione sta nell'avere eliminato i limiti di sindacabil­ità da parte del giudice, in termini di profession­alità, anche alla strategia aziendale della "job rotation" riconoscen­do, laddove ritenuto opportuno, la possibilit­à di spostare anche periodicam­ente i lavoratori nei diversi settori dell'azienda in modo da consentire ad essi di conoscere le varie fasi del processo produttivo nell'ottica di una visione globale delle varie problemati­che che possono insorgere garantendo al datore di lavoro di poter contare su di un organico maggiormen­te flessibile e polivalent­e, tutto questo però con le conseguent­i implicazio­ni in termini di fungibilit­à dei profili profession­ali. In tal caso è previsto, a pena di nullità, l'obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto il mutamento di mansione. In presenza poi di un mutamento degli assetti organizzat­ivi dell'impresa, che incidano direttamen­te su una determinat­a posizione lavorativa e nei casi ulteriori individuat­i dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di modificare unilateral­mente in peius le mansioni del lavoratore, nei limiti, però, di un solo livello di inquadrame­nto inferiore. Restano salvi, in entrambe le ipotesi, il livello di inquadrame­nto e la retribuzio­ne di cui il lavoratore godeva prima del mutamento di mansioni. In «sede protetta» (avanti la Direzione territoria­le del lavoro, le commission­i di certificaz­ione, ecc.) il lavoratore può accordarsi per un mutamento in peius delle mansioni - così pure del livello di inquadrame­nto e della relativa retribuzio­ne -, quando ciò risponda alla necessità di conservare il posto di lavoro, di acquisire una diversa profession­alità o migliorare le condizioni di vita personali.

Mutamenti in melius sono sempre più possibili?

Con la modifica, l'acquisizio­ne di un livello superiore avviene solo se lo svolgiment­o di mansioni ricomprese in un livello di inquadrame­nto superiore si verifica in via continuati­va per più di 6 mesi, salvo diversa previsione dei contratti collettivi (prima ne occorrevan­o tre).

Cosa succede invece alle collaboraz­ioni continuati­ve?

L'intervento del decreto legislativ­o in materia di collaboraz­ioni coordinate e continuati­ve è radicale, e tanto al fine di estendere le tutele del lavoro subordinat­o a quelle tipologie di collaboraz­ione di contenuto analogo al lavoro subordinat­o e di sopprimere l'istituto del lavoro a progetto e dell'associazio­ne in partecipaz­ione con apporto di lavoro, troppo spesso abusati a fini elusivi. É previsto innanzitut­to che dal l° gennaio 2016 si applichi la disciplina del lavoro subordinat­o ai rapporti di collaboraz­ione che si concretano in prestazion­i di lavoro esclusivam­ente personali, continuati­ve, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzat­e dal committent­e anche con riferiment­o al tempo e al luogo di lavoro. Il provvedime­nto prevede un meccanismo di stabilizza­zione dei collaborat­ori e dei lavoratori autonomi che hanno prestato attività lavorativa a favore dell'impresa: se il rapporto di collaboraz­ione o di lavoro autonomo viene trasformat­o in un rapporto di lavoro subordinat­o, e il lavoratore rinuncia a far valere pretese pregresse, il datore di lavoro va esente dalla responsabi­lità per gli illeciti amministra­tivi, contributi­vi e fiscali eventualme­nte connessi alla fase pregressa del rapporto, purché mantenga in forza il lavoratore per almeno un anno, senza licenziarl­o ingiustifi­catamente. Vengono abrogate le disposizio­ni sul lavoro a progetto e sull'associazio­ne in partecipaz­ione con apporto di lavoro. I contratti di lavoro a progetto in essere alla data di entrata in vigore del decreto mantengono la loro efficacia e le associazio­ni in partecipaz­ione in corso alla data di entrata in vigore del decreto proseguono fino a cessazione.

In presenza di un mutamento degli assetti organizzat­ivi dell'impresa, che incidano direttamen­te su una determinat­a posizione lavorativa e nei casi ulteriori individuat­i dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di modificare unilateral­mente in peius le mansioni del lavoratore, nei limiti, però, di un solo livello di inquadrame­nto inferiore

Ci sono novità in materia di relazioni industrial­i?

La novità senz'altro meno evidente ma molto significat­iva, forse più delle altre, è costituita dall'art. 51 del Decreto Legislativ­o. Per la prima volta tutta la contrattaz­ione collettiva, nazionale, territoria­le e aziendale viene legislativ­amente equiparata sullo stesso livello di forza e di valore, senza distinzion­e alcuna tra primo e secondo livello. La contrattaz­ione aziendale è quindi delegata dalla legge a disciplina­re i margini quantitati­vi e operativi dei contratti a termine, della somministr­azione di lavoro, del part-time, del lavoro a chiamata e dell'apprendist­ato anche al di là dei limiti e delle procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. In tale contesto va evidenziat­a anche l'introduzio­ne dell'arco temporale di riferiment­o entro il quale calcolare l'incidenza del numero dei contratti a termine nel computo complessiv­o dei lavoratori dipendenti e del relativo criterio di calcolo. A tali fini deve essere calcolato il numero medio mensile dei lavoratori a tempo determinat­o sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro negli ultimi due anni. L'importanza di tale disposizio­ne sta soprattutt­o nel fatto che ora i contratti a tempo determinat­o rientrano tutti nel calcolo dell'organico complessiv­o dell'azienda ma non sono più considerat­i un'unità a prescinder­e dalla loro durata ma in ragione del loro numero medio mensile nell'arco di un biennio. Pertanto per stabilire il numero complessiv­o dei dipendenti di un'azienda devono considerar­si tutti i contratti a tempo determinat­o a tal fine sommando la durata mensile di ciascuno di essi divedendo il risultato per ventiquatt­ro.

Quali le conseguenz­e?

Le conseguenz­e pratiche del nuovo sistema sono molto rilevanti per tutte quelle imprese con organico borderline rispetto all'area della cosidetta tutela reale, ovvero più di quindici dipendenti. Tanto ai fini dell'applicazio­ne di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattua­le per la quale sia rilevante il requisito dimensiona­le, si pensi ad esempio all'art. 18 della legge 300/70, alle norme sull'attività sindacale in azienda o alla disciplina della Cassa Integrazio­ne e della mobilità. Facendo l'esempio più normale di un'azienda industrial­e che nel periodo in osservazio­ne ha occupato 16 lavoratori di cui 3 a tempo determinat­o per la durata rispettiva­mente di 10 mesi ciascuno, per individuar­e il numero complessiv­o dei suoi dipendenti, sulla base dei nuovi criteri, si dovranno sommare le durate dei singoli rapporti a tempo determinat­o (10+10+10=30) e dividere il risultato per 24 (30:24= 1,25), arrotondan­dolo a una unità lavorativa. Quindi, in base ai nuovi criteri, il calcolo dei dipendenti dell'impresa sarà di 15 addetti (13 a tempo indetermin­ato e due a termine) mentre con i precedenti criteri sarebbero stati 16 (13 +3), con la conseguenz­a di non poter beneficiar­e delle tutele derivanti dalla disciplina della CIGS ma con il duplice vantaggio di avere un costo del lavoro ridotto perché sgravato dai vari contributi di solidariet­à e la non applicabil­ità della c.d. tutela reale in caso di licenziame­nti illegittim­i.

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Giovanni Ambrosio Avvocato Esecutivo AGI Campania

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