Le classi dirigenti e la sfida del cambiamento
Solo con una politica economica seria e decisa potremo ridare slancio al Paese, recuperando competitività e promuovendo coesione sociale
Lo scorso 8 novembre, per l'ultima volta da presidente di Confindustria Salerno, ho proposto - dal palco del Teatro Verdi alla platea in sala - le mie riflessioni su quella che ritengo essere la precondizione dello sviluppo di un territorio: la costruzione di una classe dirigente capace di interpretare le esigenze del nostro tempo. Oggi è enorme il divario tra il profilo ideale della classe dirigente e le sue caratteristiche reali. Da chi è alla guida ci si aspetta visione strategica, capacità decisionale, oltre a un'elevata sensibilità verso l'innovazione ma nel concreto le doti percepite come utili risultano il merito di avere relazioni interpersonali importanti e la propensione a difendere interessi privati in luogo del benessere generale. La classe dirigente attuale, dunque, non piace. L'incapacità di dare risposte adeguate al prolungarsi della crisi economica e le reazioni sostanzialmente confuse rispetto alla crisi d'identità dell'Europa, espongono sempre di più la nostra società a inconcludenti forme di populismo che hanno il merito di saper ben cavalcare l'onda della protesta, per poi farsi travolgere dalla risacca della responsabilità della proposta. Disagio sociale e crisi economica sono state, a mio avviso, anche le ragioni che hanno spinto tanti al Sud a votare contro il disegno di riforma costituzionale, bocciato dall'esito referendario lo scorso 4 dicembre. Restiamo convinti che abbiamo mancato - l'Italia ha mancato - un'occasione di sviluppo, il "la" giusto per modernizzare il Paese. Alla classe dirigente, oggi più che mai, è affidato quindi il compito di saper immaginare un futuro verso cui condurre il Paese, perché esso “torni a desiderare”, riattivando se stesso e ritrovando l'orgoglio di quello che può ancora diventare. È chiaro che questo cambio di passo può concretizzarsi solo perseguendo nuovi modelli di selezione. Bisogna passare dal puro vantaggio di relazioni interpersonali al riconoscimento oggettivo del merito individuale. Se continuerà a prevalere un meccanismo in cui si premiano più la fedeltà che le competenze e il merito, le persone non avranno incentivi a migliorare e a migliorarsi: prevarrà sempre la tendenza ad adeguarsi e a ridurre il più possibile i conflitti attraverso la creazione di legami stabili con gruppi di riferimento cui garantire fedeltà in cambio di appoggio e sicurezza del proprio status. Il sistema dell'education e la ripresa della mobilità sociale che, secondo una recente indagine del Censis, rallenta nel nostro Paese, sono entrambi dunque punti di snodo imprescindibili per la creazione di una nuova guida, per una società che possa dirsi compiutamente democratica. Alla luce del periodo di indeterminatezza politica che ci aspetta nei prossimi mesi, diventa particolarmente urgente trovare soluzioni rapide capaci di riportare al centro la manifattura e ricondurre la questione sociale dentro quella puramente economica, per non rischiare di avere una crescita per pochi e un mancato sviluppo per tanti. Le necessità del Paese restano le stesse: riforme, riforme e ancora riforme. Solo con una politica economica seria e decisa, potremo rispondere con successo all'immensa sfida di rimettere le finanze pubbliche sulla strada giusta, modernizzando l'economia, recuperando competitività e promuovendo coesione sociale. Non ci sono "no" che tengano.