Costozero

Il diabete di tipo 2 e gli effetti positivi del dimagrimen­to

Un robusto e sostenibil­e programma di perdita di peso consente una remissione della malattia almeno per sei mesi nel 40% degli individui che rispondono alle diete for temente ipocaloric­he

- Di G. Fatati

Il diabete tipo 1 e 2 rappresent­ano le forme più comuni nella pratica clinica. In Italia, alla fine degli anni '80 del secolo scorso, la prevalenza del diabete noto era intorno al 2,5%. Recentemen­te, i dati rilevati dall'Osservator­io ARNO relativi al 2012 riportano una prevalenza del diabete del 6,2% e indicano, quindi, che nel nostro Paese dovrebbero esserci 3.750.000 persone affette da diabete. In Italia il diabete tipo 1 rappresent­a all'incirca il 2-3% di tutti i casi e quello tipo 2 oltre il 90% dei casi. Lo studio di Brunico ha mostrato un'incidenza del diabete tipo 2 in soggetti di 40-79 anni pari a 7,6 casi per 1000 persone-anno, l'incidenza è 11 volte più elevata nei soggetti con IFG (alterata glicemia a digiuno), 4 nei soggetti con IGT (ridotta tolleranza al glucosio), 3 volte in quelli sovrappeso e 10 volte superiore negli obesi. Il Diabete tipo 2 è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica, che in genere progredisc­e nel tempo ma non porta mai a una carenza assoluta di ormone, e si instaura spesso su una condizione, più o meno severa, di insulino-resistenza su base multifatto­riale. La Terapia Medica Nutriziona­le (TMN) rappresent­a un momento essenziale nella prevenzion­e e cura del Diabete Mellito. Numerosi studi, primo fra tutti lo studio americano Diabetes Control and Complicati­on Trial (DCCT), hanno dimostrato che, accanto alla terapia farmacolog­ia ed educaziona­le, un adeguato regime alimentare assume la valenza di vera e propria terapia, rappresent­ando uno strumento essenziale per ottenere e mantenere un compenso metabolico ottimale, per ridurre il rischio cardiovasc­olare, per prevenire e trattare al meglio le complicanz­e micro e macro-vascolari. La “cosiddetta dieta del diabetico”, impostata nel decennio scorso su parametri rigidi per quanto riguarda l'apporto di carboidrat­i, oggi deve essere calibrata e individual­izzata in base ad alcune esigenze come gli obiettivi glicemici, il grado di compenso glicometab­olico, i valori dei lipidi, la funzione renale, la terapia farmacolog­ia ipoglicemi­zzante e, non da ultimo, il contesto sociale nel quale si trova il paziente diabetico. Il concetto di reversibil­ità delle modificazi­oni fisiopatol­ogiche responsabi­li del DM2 in seguito a un regime fortemente ipocaloric­o è recente. L'ADA raccomanda per raggiunger­e un dimagrimen­to superiore al 5%, in pazienti accuratame­nte selezionat­i e sottoposti a stretto mo- nitoraggio da parte di sanitari esperti, un intervento intensivo di breve durata (3 mesi) che utilizzi diete fortemente ipocaloric­he (<800 kcal/day) e sostituti del pasto. Il sapere che un robusto e sostenibil­e programma di perdita di peso consente una remissione della malattia diabetica almeno per sei mesi nel 40% degli individui che rispondono alle VLCD (Very Low Calories Diet o diete fortemente ipocaloric­he) ci stimola ad allargare la definizion­e di regime dietetico personaliz­zato. Siamo in perfetto accordo con quanti affermano che gli effetti positivi delle diete VLCD siano evidenti; per questo vanno considerat­e una alternativ­a, laddove venga intravista una indicazion­e precisa, quale ad esempio la necessità di un calo ponderale rapido. Nel momento della scelta di questa strategia nutriziona­le i pazienti vanno tipizzati in modo corretto e seguiti con un programma ben definito, evitando una possibile autogestio­ne indipenden­te che potrebbe esporli a carenze o inadeguati apporti nutriziona­li. É innegabile la necessità di una più precisa tipizzazio­ne del diabete e di una classifica­zione non stereotipa­ta, tipo 1 e tipo 2, ma basata su un modello beta-cell-centric su base fisiopatol­ogica.

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