Costozero

Accertamen­to fiscale, contabile o induttivo?

Il principio di capacità contributi­va limita l'amministra­zione finanziari­a nella scelta della tipologia

- di M. Villani e I. Pansardi

La persona fisica obbligata alla tenuta delle scritture contabili può essere sottoposta a diverse tipologie di accertamen­to, tra cui l'accertamen­to analitico e l'indut

tivo. L'accertamen­to analitico ha ad oggetto l'analisi delle singole componenti della base imponibile, così come risultanti dalla contabilit­à ufficiale del contribuen­te e dalla dichiarazi­one. Tale tipo di accertamen­to viene disciplina­to dall'art. 39, com

ma I, del d.p.r. n. 600/1973, il quale peraltro prevede due ulteriori sotto-tipologie, ovvero: l'accertamen­to analitico-contabile; l'accertamen­to analitico-induttivo. L'accertamen­to analitico ex art. 39, primo comma, d.p.r. n. 600/1973 viene effettuato sia per le imposte dirette, sia per l'IVA, sulla base dei dati risultanti dalle scritture contabili e, in tal senso, viene denominato accertamen­to analitico-contabile: 1. analitico, poiché presuppone la conoscenza della fonte; 2. contabile, poiché si basa sule singole componenti di reddito derivanti dalla stessa contabilit­à. Con tale accertamen­to, pertanto, l'amministra­zione finanziari­a non mette in discussion­e le scritture contabili che, anzi, vengono prese proprio a supporto al fine della ridetermin­azione del reddito. Viceversa, per quanto attiene all'accertamen­to analitico-induttivo, l'ufficio si avvale di tale accertamen­to, previsto dal comma primo dell'art. 39 cit. lette. d), se: - l'incomplete­zza, la falsità o l'inesattezz­a degli elementi indicati nella dichiarazi­one e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'art. 33 del d.p.r. n. 600/1973 ovvero dal controllo della completezz­a, esattezza e veridicità delle registrazi­oni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'art. 32; - l'esistenza di attività non di-

chiarate o la inesistenz­a di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzion­i semplici, purché gravi, precise e concordant­i. L'art. 39, comma 2, del d.p.r. n.600/1976 disciplina il cosiddetto accertamen­to induttivo-extraconta­bile,

anche detto accertamen­to in

duttivo “puro”. In particolar­e, l'ufficio ricorre a tale metodo in presenza di gravi violazioni commesse dal contribuen­te ed espressame­nte previste dalla norma, ovvero: a) quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazi­one; b) quando alla dichiarazi­one non è stato allegato il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite; c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell'art. 33 risulta che il contribuen­te non ha tenuto o ha comunque sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall'art. 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibil­i per causa di forza maggiore; d) quando le omissioni e le false o inesatte indicazion­i accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolari­tà formali delle scritture contabili risul-

tanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendib­ili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilit­à sistematic­a. Le scritture ausiliarie di magazzino non si consideran­o irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazion­e ai sensi della lettera d) del primo comma dell'art. 14 del presente decreto; d-bis) quando il contribuen­te non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'art. 32, primo comma, numeri 3)e 4), del presente decreto o dell'art. 51, secondo comma, numeri 3)e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; d-ter) in caso di omessa presentazi­one dei modelli per la comunicazi­one dei dati rilevanti ai fini dell'applicazio­ne degli studi di settore o di indicazion­e di cause di esclusione o di inapplicab­ilità degli studi di settore non sussistent­i, nonché di infedele compilazio­ne dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15%, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazi­one. Peraltro, se è pur vero che, con tale accertamen­to, l'ufficio delle imposte determina il reddito d'impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescinder­e in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzion­i semplici, tuttavia occorre che la ricostruzi­one del reddito parta sempre da un fatto noto per rappresent­are un fatto ignoto, non potendo questa essere del tutto apodittica. L'accertamen­to induttivo-extraconta­bile trae, quindi, origine dalla conoscenza di un fatto significat­ivo attraverso il quale si perviene alla determinaz­ione induttiva del reddito (Cass. n.

2605/2000). Al riguardo, la Corte di Cassazione con una sentenza 3 febbraio 2012 n. 1555 è intervenut­a stabilendo il principio secondo cui, anche in caso di inattendib­ilità della contabilit­à, l'amministra­zione finanziari­a può procedere all'accertamen­to analitico e non necessaria­mente a quello induttivo.

Rientra, pertanto, nella discrezion­alità dell'ufficio la scelta del tipo di accertamen­to di

cui avvalersi e spetta, viceversa, al contribuen­te dimostrare, mediante l'esibizione di adeguata documentaz­ione probatoria, l'illegittim­ità dell'accertamen­to. In linea generale, quindi, all'Amministra­zione finanziari­a è concessa un'ampia facoltà di scelta del modus operandi, che può manifestar­si anche nell'accertamen­to cosiddetto analitico-induttivo, fondato sul rinvenimen­to di inesattezz­e contabili gravi, ovvero sul riscontro di situazioni di rilevante infedeltà in fatture, atti e documentaz­ione varia. Purché non vi sia un pregiudizi­o sostanzial­e (Cass. 8333/2012; Cass. 19258/2005). Ebbene, di recente la Suprema Corte con sentenza Cass. civ. Sez. V, 03 febbraio 2017, n. 2873 così ha deciso: « Il potere dell'Amministra­zione finanziari­a, se esercitato nell'ambito delle previsioni di legge, di scegliere discrezion­almente il metodo di accertamen­to da utilizzare nel caso concreto, è insindacab­ile, di talché il contribuen­te, in assenza di pregiudizi­o sostanzial­e, non ha titolo a dolersi della scelta operata. In presenza di pregiudizi­o, invece, il giudice ha il potere di annullamen­to dell'atto impositivo, ciò non configuran­do travalicam­ento della giurisdizi­one nell'ambito di poteri discrezion­ali della PA, in quanto espression­e del legittimo sindacato del giudice tributario che ben può tener conto, ai fini della decisione, della metodologi­a adottata per la raccolta degli elementi utilizzati per la rettifica quando le emerse risultanze appaiano incongrue rispetto alla situazione concreta (come nella specie) » . In concretezz­a, nell'attività di verifica vi è un sostanzial­e obbligo di scegliere il metodo di accertamen­to che, meglio degli altri, riesca ad individuar­e la reale capacità contributi­va del contribuen­te.

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