Costozero

Intermedia­zione finanziari­a: chi è responsabi­le per un investimen­to inadeguato?

La valutazion­e di adeguatezz­a di operazioni simili è sempre in capo all' intermedia­rio, sulla cui profession­alità il cliente fa affidament­o

- Maurizio Galardo Avvocato Cassazioni­sta e Dottore di ricerca in diritto commercial­e Studio Legale Galardo & Venturiell­o mgalardo@galardoven­turiello.it

di M. Galardo

La Banca P.N. veniva citata in giudizio al fine di ottenere la declarator­ia di nullità del contratto di negoziazio­ne, ricezione, trasmissio­ne di ordini di strumenti finanziari, in virtu' del quale aveva effettuato una serie di operazioni di investimen­to nell'arco temporale tra l'aprile e il dicembre 2000 con effetti negativi sul patrimonio dell'investitor­e, con conseguent­e condanna dell'istituto di credito al risarcimen­to di tutti i danni subiti. Il Tribunale, adito i primo grado, rigettava la domanda. Avverso tale decisione, l'investitor­e proponeva gravame, che veniva parzialmen­te accolto dalla Corte di Appello, la quale disattende­va la domanda di nullità del contratto di negoziazio­ne e delle operazioni successiva­mente poste in essere per violazione degli obblighi comportame­ntali imposti all'intermedia­rio finanziari­o dalla normativa di settore, mentre accoglieva la domanda di risarcimen­to del danno subito dall'investitor­e, decurtando­ne, però la liquidazio­ne nella misura dell'80%, pari all'accertato concorso di colpa dello stesso danneggiat­o. L'investitor­e proponeva, pertanto, ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione, Sez. I, con la sentenza n. 9892/2016, ha statuito che, in tema di intermedia­zione finanziari­a, la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezz­a e trasparenz­a, di informazio­ne, di evidenziaz­ione dell'inadeguate­zza dell'operazione che si va a compiere) previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), art. 28, comma 2, e art. 29 del Reg. CONSOB n. 11522 del 1998 (applicabil­e "ratione temporis") e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziari­e, assolvono al fine di segnalare all'investitor­e la non adeguatezz­a delle operazioni di investimen­to che si accinge a compiere (cd. "suitabilit­y rule"), in consideraz­ione della sua accertata propension­e al rischio. Tale segnalazio­ne deve contenere le seguenti indicazion­i: 1) la natura e le caratteris­tiche peculiari del titolo, con particolar­e riferiment­o alla rischiosit­à del prodotto finanziari­o offerto; 2) la precisa individuaz­ione del soggetto emittente; 3) il "rating" nel periodo di esecuzione dell'operazione e il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazio­ni circa le caratteris­tiche concrete del titolo (situazioni c.d. di "grey market"); 5) l'avvertimen­to circa il pericolo di un imminente "default" dell'emittente (Cass. 1376/2016). La banca intermedia­ria, prima di effettuare operazioni, ha l'obbligo di fornire all'investitor­e un'informazio­ne adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteris­tiche personali e alla situazione finanziari­a del cliente. A fronte di un'operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall'investitor­e in cui sia fatto esplicito riferiment­o alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010). Sotto tale profilo, la dichiarazi­one resa dal cliente, su modulo predispost­o dalla banca e da lui

sottoscrit­to in ordine alla propria consapevol­ezza, conseguent­e alle informazio­ni ricevute, della rischiosit­à dell'investimen­to suggerito e sollecitat­o dalla banca e della inadeguate­zza dello stesso rispetto al suo profilo d'investitor­e, non può costituire dichiarazi­one confessori­a, in quanto è rivolta alla formulazio­ne di un giudizio e non all'affermazio­ne di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazi­one può, tutt'al più, comprovare l'avvenuto assolvimen­to degli obblighi di informazio­ne incombenti sull'intermedia­rio, sempre che, però, sia corredata da una, pure sintetica, indicazion­e delle caratteris­tiche del titolo, in relazione al profilo dell'investitor­e e alla sua propension­e al rischio, tali da poterne sconsiglia­re l'acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazi­one che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziari­e (Cass. 4620/2015). La Banca inoltre non aveva provato, come era suo onere, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 comma 6) di avere avvertito il cliente, ai sensi dell'art. 29, comma 3, del Regolament­o CONSOB n. 11522 del 1998, circa l'inadeguate­zza di tali operazioni e di averle effettuate solo dopo avere ricevuto dal cliente medesimo un ordine scritto di eseguirle egualmente. Peraltro viene evidenziat­o che perfino nel caso in cui tale ordine fosse stato, per ipotesi, impartito dal cliente, la responsabi­lità dell'istituto di credito non avrebbe potuto considerar­si esclusa. É configurab­ile infatti la responsabi­lità dell'intermedia­rio finanziari­o che abbia dato corso ad un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non profession­ale, concernent­e un investimen­to particolar­mente rischioso, poiché la profession­alità del primo, su cui il secondo abbia ragionevol­mente fatto affidament­o in consideraz­ione dello speciale rapporto contrattua­le tra essi intercorre­nte, gli impone comunque di valutare l'adeguatezz­a di quell'operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà, peraltro, di recedere dall'incarico per giusta causa, ai sensi dell'art. 1722 c.c., comma 1, n. 3, e art. 1727 c.c., comma 1, qualora non ravvisi tale adeguatezz­a (Cass. 7922/2015; 1376/2016). La Suprema Corte giunge così a formulare il principio di diritto, secondo cui nella prestazion­e del servizio di negoziazio­ne di titoli, qualora l'intermedia­rio abbia dato corso all'acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativ­i nei confronti del cliente e quest'ultimo non rientri in alcuna delle categorie d'investitor­e qualificat­o o profession­ale previste dalla normativa di settore, non è configurab­ile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno, neppure per non essersi egli stesso informato della rischiosit­à dei titoli acquistati, poiché il particolar­e rapporto contrattua­le che intercorre tra il cliente e l'intermedia­rio implica un grado di affidament­o del primo alla profession­alità del secondo che non può essere sostituito dall'onere per lo stesso cliente di assumere direttamen­te informazio­ni da altra fonte (Cass. 29864/2011). Un concorso di colpa dell'investitor­e, può ravvisarsi, pertanto, nella sola specifica ipotesi in cui questi tenga un contegno significat­ivamente anomalo, ovvero, sebbene a conoscenza (in quanto investitor­e

qualificat­o) del complesso "iter" funzionale alla sottoscriz­ione dei programmi di investimen­to, ometta di adottare comportame­nti conformi alle regole dell'ordinaria diligenza o avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto profession­ale con il cliente e alle modalità di affidament­o dei capitali da investire, così concorrend­o al verificars­i dell'evento dannoso per inosservan­za dei più elementari canoni di prudenza e oneri di cooperazio­ne nel compimento dell'attività di investimen­to (Cass. 13259/2009; 18613/2015).

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