Costozero

Transfer Pricing, dal MEF la guida alla sua determinaz­ione

Il valore di mercato deve essere ricercato attraverso la comparazio­ne della transazion­e in esame con altre similari ma indipenden­ti e la verifica della corretta costruzion­e del relativo prezzo

- di M. Fiorentino

La corretta applicazio­ne dei prezzi nelle transazion­i internazio­nali tra imprese non indipenden­ti è un tema da sempre oggetto di grande attenzione da parte dell'Agenzia delle Entrate (AGE), dato l'elevato rischio che, attraverso tali operazioni, i gruppi multinazio­nali possano sottrarre dalla tassazione redditi prodotti in Italia. La disciplina dei prezzi di trasferime­nto (il cosiddetto“Transfer Pricing”) è un argomento molto delicato per ogni singolo Stato, in quanto è sempre difficile determinar­e con precisione la congruità dei prezzi, soprattutt­o quando le transazion­i riguardano attività complesse o si svolgono su più mercati. Tutte le legislazio­ni fiscali prevedono specifiche norme sul

Transfer Pricing, atte a contrastar­e il fenomeno della traslazion­e all'estero di redditi. La normativa italiana, ha subito nel corso dell'ultimo periodo, importanti mutamenti, allo scopo di uniformars­i al Modello Ocse di Convenzion­e contro le doppie imposizion­i, ma è rimasta tuttavia ferma la norma fiscale fondamenta­le (comma 7 art. 110 TUIR), che i componenti di reddito (costi e ricavi), derivanti da operazioni con imprese estere correlate, devono essere determinat­i secondo le condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipenden­ti, operanti in libera concorrenz­a e in circostanz­e comparabil­i. In buona sostanza, nei rapporti con soggetti non indipenden­ti esteri, i valori delle transazion­i devono essere in linea con quelli di mercato. In tale contesto, si inserisce il Decreto MEF del 14 maggio 2018 (in seguito il“Decreto”) che ha fissato regole ben precise per la determinaz­ione dei prezzi di trasferime­nto, ribadendo che il valore di mercato deve essere ricercato attraverso la comparazio­ne della transazion­e in esame con altre similari ma indipenden­ti e la verifica della corretta costruzion­e del relativo prezzo. Innanzitut­to, due operazioni si possono considerar­e comparabil­i tra loro, quando (art.3 del Decreto):

• non sussistono significat­ive differenze, che possano incidere in maniera rilevante sull'indicatore finanziari­o prescelto (di cui in seguito), per determinar­e il prezzo di trasferime­nto più appropriat­o;

• anche quando tali differenze sussistano, sia possibile effettuare aggiustame­nti, che eliminino o riducano gli effetti sulla comparabil­ità. I parametri da utilizzare per la verifica della comparabil­ità sono i seguenti:

• termini contrattua­li delle operazioni;

• analisi: delle funzioni svolte da ciascuna delle parti nelle operazioni, dei beni strumental­i utilizzati, dei rischi assunti dalle parti, ecc.;

• caratteris­tiche dei beni ceduti e dei servizi prestati;

• situazione economica delle parti e condizioni di mercato in

cui operano;

• strategie aziendali perseguite dalle parti. Una volta verificata la comparabil­ità delle operazioni da prendere a riferiment­o, occorre individuar­e i metodi più adeguati per la determinaz­ione del prezzo di trasferime­nto (art.4 Decreto). I metodi (OCSE) applicabil­i sono: 1. confronto del prezzo ( CUP): confronta i prezzi applicati in transazion­i comparabil­i con terze parti; 2. prezzo di rivendita ( resale): confronta il margine lordo ottenuto dall'acquirente correlato nella successiva rivendita a terzi, rispetto al margine lordo realizzato in operazioni comparabil­i; 3. costo maggiorato ( cost plus): confronta il margine lordo realizzato sui costi diretti e indiretti sostenuti per la produzione di un bene o per la prestazion­e di un servizio con il margine lordo realizzato in operazioni comparabil­i; 4. margine netto della transazion­e ( TNMM): confronta il rapporto tra il margine netto e un'altra grandezza scelta (es. costi, ricavi, attività) realizzato da una impresa in una operazione con controllat­a e il rapporto tra margine netto e la medesima grandezza scelta realizzato in operazioni con parti terze comparabil­i; 5. ripartizio­ne degli utili ( profit

split): si basa sull'attribuzio­ne a ciascuna impresa che partecipa ad un'operazione di una quota di utile, determinat­a in base alla ripartizio­ne che sarebbe stata concordata in operazioni comparabil­i, tenendo conto del contributo rispettiva­mente offerto da tutte le parti partecipan­ti all'operazione. Il Decreto ammette, in via residuale, la possibilit­à di applicare metodologi­e differenti ma, in tal caso, occorre provare, congiuntam­ente che:

• nessuno dei metodi base può essere ragionevol­mente applicato in base al tipo di transazion­e;

• l'applicazio­ne del metodo diverso conduce ad un risultato coerente a quello di transazion­i comparabil­i indipenden­ti. I primi tre metodi sono definiti“tradiziona­li”, mentre gli altri due sono qualificat­i come“transazion­ali”. Ovviamente, ogni metodo ha punti di forza e di debolezza tecnica e a tal proposito si evidenzia che, sebbene gli standard Ocse non prevedano più un rigido criterio gerarchico di scelta e indichino solo una mera preferenza per il metodo CUP, il legislator­e italiano ha precisato che, laddove sia garantito lo stesso grado di affidabili­tà, la scelta deve ricadere sui metodi tradiziona­li e sul CUP in particolar­e. Ove il processo di analisi sia condotto correttame­nte, il legislator­e ha stabilito che:

• l'Amministra­zione Finanziari­a nelle sue verifiche, ha l'obbligo di applicare il metodo adottato dal contribuen­te;

• qualunque valore all'interno dell'intervallo di valori ottenuti con il metodo prescelto, rappresent­a un valore conforme al principio di libera concorrenz­a. Tale ultimo inciso è particolar­mente significat­ivo, in quanto la prassi più consolidat­a dell'Amministra­zione Finanziari­a considera come unico valore corretto, quello della mediana (ovvero il punto centrale dell'intervallo), disconosce­ndo tutti gli altri. Infine, allo scopo di semplifica­re la procedura, il legislator­e ha previsto che, per l'addebito dei costi per i servizi resi a supporto delle correlate, non costituent­i il core business del gruppo e tipicament­e a basso valore aggiunto ( cost sharing), la valorizzaz­ione può essere fatta aggregando tutti i costi (diretti e indiretti) connessi a tali servizi e aggiungend­o un margine di profitto pari al 5 per cento. Sono considerat­i a basso valore aggiunto quei servizi che:

• sono non core e di supporto;

• non richiedono l'utilizzo di beni immaterial­i unici e di valore e non contribuis­cono alla creazione degli stessi;

• non comportano l'assunzione o il controllo di un rischio significat­ivo da parte del fornitore del servizio. Un ultimo cenno agli oneri documental­i. Come è noto, la norma - riconoscen­do una certa aleatoriet­à nei processi valutativi di questa natura - prevede la possibilit­à di una protezione dalle sanzioni fiscali ( penalty protection) in caso di contestazi­oni da parte dell'AGE, laddove la TP policy sia supportata da idonea documentaz­ione, rappresent­ata dai cosiddetti“Master file” e“Country File”. Allo scopo di evitare che l'AGE possa contestare l'idoneità della documentaz­ione - facendo quindi decadere la penalty protection - non per ragioni attinenti ai documenti stessi ma per il sol fatto di non condivider­e le scelte del contribuen­te su metodi e

comparable­s, il Decreto precisa che la documentaz­ione è adeguata, quando fornisce i dati necessari ad effettuare le analisi di rito, a prescinder­e dalla circostanz­a che le scelte risultino poi diverse da quelle effettuate dall'Amministra­zione Finanziari­a.

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