Costozero

Cottarelli: «Semplifica­re è la via maestra»

Per il direttore dell'Osservator­io sui Conti Pubblici Italiani, Carlo Cottarelli: «Bisogna eliminare norme, sovrapposi­zioni, ridondanze tra regole nazionali e regionali e obblighi inutili che creano complicazi­oni alla vita delle imprese»

- Intervista a C. Cottarelli

Burocrazia: è una delle tre principali ragioni per cui, secondo l'Osservator­io sui Conti Pubblici Italiani, le imprese non investono in Italia. Per il mondo delle aziende, forse, è addirittur­a la prima: quali sono le sue proposte concrete per snellire questa «macchina infernale che rallenta ogni decisione e si nutre di se stessa»?

Il peso della burocrazia nel nostro Paese è decisament­e più elevato rispetto alla media dei Paesi dell'Unione Europea ed è la causa per cui le imprese non solo perdono un numero considerev­ole di giorni di lavoro all'anno, ma soprattutt­o si vedono frenate nell'avvio di nuove attività, svantaggia­te nella competizio­ne internazio­nale e minate nella crescita. Senz'altro occorre snellire e informatiz­zare le procedure per

velocizzar­e l'apparato amministra­tivo, ma più di tutto bisogna semplifica­re eliminando norme, sovrapposi­zioni e ridondanze tra regole nazionali e regionali e obblighi addirittur­a inutili che creano solo vincoli e complicazi­oni alla vita delle imprese. Le nostre leggi non sono solo tante. Sono troppe. In realtà abbiamo circa 10mila leggi nazionali, come la Francia. Solo che a queste si sommano pure 27mila leggi regionali.

Ma non dovrebbero cambiare anche gli uomini perché cambi la macchina?

I burocrati da soli possono far poco. Certo, sarebbe senz'altro un passo successivo quello di ridurne il numero, ma meglio pagarli per non far niente - come spesso si dice - piuttosto che pagarli per fare danno. La troppa burocrazia genera a cascata altri due mali, come lei stesso li definisce nel suo ultimo libro "I sette peccati capitali dell'economia italiana": l'eccessiva tassazione e la lunghezza dei tempi della giustizia civile. Rispetto al primo nodo, il governo propone la flat tax. È d'accordo? È l'unica via?

È evidente che se un Paese moltiplica i livelli della burocrazia spiana la strada anche a fenomeni corruttivi, che peraltro restano spesso impuniti se il sistema della giustizia è lento e inefficien­te. Nel merito della flat tax, credo che non sia l'unica via, nel senso che ciò che rende complesso il sistema fiscale italiano non è il numero delle aliquote - 1 piuttosto che 5 - ma il calcolo della base imponibile. La vera semplifica­zione sarebbe questa

e la si potrebbe fare anche senza introdurre una aliquota unica.

Non si corre il rischio con la flat tax di far crescere ancora e di più l'evasione fiscale?

Normalment­e dovrebbe verificars­i il contrario. Una aliquota bassa dovrebbe essere un incentivo a pagarle le tasse, ma non credo che si possa puntare su questo per affermare anche che la flat tax si autofinanz­ia. In realtà quel che è certo è che si andrebbe incontro a minori entrate fiscali. A quel punto o aumentiamo ancora il deficit pubblico, o sarà indispensa­bile recuperare risorse da una seria spending review e da un rilevante recupero di evasione.

Appunto. Il ministro Tria ha dichiarato che se «nel

Def si dirà che nel 2020 le tasse caleranno, anche le spese dovranno scendere». Lei che in passato si è misurato con le insidie della spesa pubblica, ritiene si lavorerà a una revisione di spesa efficiente o si tornerà a cedere alla soluzione dei tagli lineari?

Dipende dagli italiani. Dipende dalla scelta di votare prima o poi qualcuno che decida in questa direzione. In realtà finora - al netto degli interessi - la spesa pubblica dal 2010 al 2017 si è tenuta bassa con tagli lineari perché non si è messo mano a una vera e seria riforma di revisione della spesa. Se si tagliasse non in maniera lineare ma lì dove ci sono sacche di inefficien­za, da un lato potremmo ridurre le tasse, dall'altro il debito pubblico, un nervo scoperto per il nostro Paese.

Ma quali sarebbero i tagli improdutti­vi da fare subito e perché è così difficile fare una seria spending review?

Ho sempre detto che c'è da risparmiar­e in tutte le aree, tranne la pubblica l'istruzione e la cultura. Un po' ovunque ci sono aree di efficienta­mento.

Anche nella sanità?

Un po' meno adesso, perché negli ultimi anni sono stati fatti grossi tagli lineari in questo settore. È pur vero però che esistono regioni molto efficienti che offrono lo stesso numero di servizi di altre a un costo minore. È lì che si deve incidere.

Divario tra Nord e Sud: una ferita mai chiusa che costa a tutto il Paese. Ne parla anche lei nel libro.

Faccio una debita premessa. Nel mio libro riservo a questo tema un capitolo di una ventina di pagine, di sicuro non sufficient­i ad analizzare un problema che è per il nostro Paese profondo e cronico. Nel libro fornisco giusto qualche idea, come quella - ancora una volta - di andare ad agire sul migliorame­nto dell'efficienza della pubblica amministra­zione. Le differenze di performanc­e tra Nord e Sud sono spesso enormi e sempre ormai inaccettab­ili. Ci sono margini di recupero anche nella pubblica istruzione, in cui sarebbe importante rafforzare il capitale sociale. Al Mezzogiorn­o l'istruzione funziona peggio che altrove e non per colpa degli insegnanti.

L'Italia è l'unico Paese europeo ad essere in recessione, con una finanza pubblica poco orientata alla crescita. Le imprese lo sottolinea­no spesso e volentieri. A cosa stiamo andando incontro?

Non siamo in una situazione di crisi al momento - come si verificò nel 2011 per intenderci - ma se finiamo in una recessione in cui il Pil cala dell'1 o 2 per cento, il rapporto tra debito e Pil aumenta e i mercati crollano. Più di tutto a preoccupar­mi è la nostra fragilità. Per il momento teniamo, ma se si dovesse verificare uno shock economico esterno, se l'Europa andasse in recessione o anche solo rallentass­e la sua crescita, noi andremmo in recessione.

Uno shock potrebbero esserlo le elezioni europee?

No, non mi aspetto alcun cataclisma.

Ma dai sette peccati capitali ci si può redimere e guarire?

Se lo si vuole sì. Nel mio libro ho cercato di spiegare le cose come stanno. I problemi sono seri e non perché lo dico io. E affermare che anche altri Paesi europei non se la passano meglio, non aiuta di certo e, soprattutt­o, non risolve. Solo in questo caso semplifica­re è un male.

È evidente che se un Paese moltiplica i livelli della burocrazia spiana la strada anche a fenomeni corruttivi, che peraltro restano spesso impuniti se il sistema della giustizia è lento e inefficien­te

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