Costozero

Furto di beni in azienda: non sempre scatta il licenziame­nto

L'imputabili­tà della giusta causa - secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione - va valutata con rispetto dei criteri di proporzion­alità relativi alla gravità della colpa e all'intensità della violazione della buona fede contrattua­le

- di P. Ambron

Non si applica sempre la massima sanzione qualora un dipendente venga sorpreso a rubare beni aziendali. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1634/2019, che ha confermato la decisione della Corte di Appello di Napoli pronunciat­asi sul licenziame­nto comminato ad un dipendente per aver sottratto beni aziendali.

Il fatto. Il Tribunale di Nola aveva rigettato l'impugnazio­ne del licenziame­nto per giusta causa irrogato al lavoratore per la sottrazion­e di cinque lampadine da alcuni proiettori per installarl­e sulla propria autovettur­a. Riformando la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Napoli dichiarava l'illegittim­ità del licenziame­nto condannand­o la società alla reintegra del lavoratore e al pagamento delle retribuzio­ni maturate dalla data di licenziame­nto, in quanto dall'istruttori­a era emerso che la sottrazion­e del materiale consisteva in una operazione non di prassi e, in ogni caso, tollerata dall'azienda e non avvertita come illecita, ciò acquisendo una rilevanza

nel giudizio di proporzion­alità della sanzione. La Corte di Appello rilevava che l'imputabili­tà della giusta causa di licenziame­nto andava valutata con rispetto dei criteri di proporzion­alità relativi alla gravità della colpa e intensità della violazione della buona fede contrattua­le. Infatti nel caso di specie la Corte rilevava che la condotta del lavoratore consisteva nella sottrazion­e di beni di modico valore e che questa non cagionava alcun danno rilevante all'azienda. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1634/2019, conferma il giudizio emesso dal Giudice di secondo grado e quindi l'illegittim­ità del licenziame­nto irrogato per giusta causa stabilendo l'assenza di proporzion­alità tra la condotta contestata e la sanzione comminata. A tale decisione è giunta stante la consapevol­ezza da parte del datore di lavoro della esistenza di pratiche simili a quella eseguita dal lavoratore licenziato, che erano diventate una prassi nell'ambito aziendale da parte di altri dipendenti. Decisione che era appunto rafforzata anche dal modico valore dei beni aziendali sottratti. Infatti, l'esiguità dei beni sottratti non è di per sé sufficient­e per comminare la sanzione massima da parte del datore di lavoro, di per sé sproporzio­nata rispetto al fatto, ma risulta fondamenta­le la gravità della condotta posta in essere dal lavoratore. Tale principio è stato ribadito in precedenza dalla Suprema Corte con sentenza n. 24014/2017 che ha sottolinea­to come il danno patrimonia­le subito dal datore di lavoro abbia una rilevanza secondaria rispetto alla lesione del rapporto di fiducia tra il dipendente e l'azienda. Del resto, secondo il consolidat­o orientamen­to della Suprema Corte «la valutazion­e in ordine alla ricorrenza della giusta causa e al giudizio di proporzion­alità della sanzione espulsiva deve essere operata con riferiment­o agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidament­o richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualme­nte arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanz­e del loro verificars­i, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenziona­le o di quello colposo».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy