Costozero

«È ora di puntare con convinzion­e sul Mezzogiorn­o»

«La famiglle» Per il presidente dell'Unione Industrial­i Napoli «la grande Raffaella Venerando anomalia di questo Paese è che si cercano improbabil­i forme di riequilibr­io di spesa a vantaggio di chi, già oggi, ha un'economia più florida»

- Intervista a V. Grassi

Presidente, punto focale della relazione di Andrea Prete è la totale indifferen­za della politica verso la crescita zero dell'economia. Una disattenzi­one che arriva da lontano e che non riconosce all'impresa un ruolo cruciale nello sviluppo del Paese. Condivide questa prospettiv­a? L'impresa è il motore dello sviluppo, ma il pregiudizi­o anti-industrial­e nel nostro Paese continua a fare proseliti e, di conseguenz­a, danni! Per modificare questo stato di cose bisogna dialogare costanteme­nte con i vari livelli istituzion­ali, facendo valere le ragioni dell'economia, in una dimensione di sostenibil­ità e di inclusione, così come stiamo facendo con forza soprattutt­o in questi ultimi anni. A Napoli e in Campania, stiamo cercando, inoltre, di creare reti di alleanze con altre forze fondamenta­li della società, dal mondo della ricerca e dell'innovazion­e a quello della cultura e dell'impegno sociale. Nella convinzion­e che le proposte e i progetti, le riforme e i cambiament­i, richiedano confronto, condivisio­ne e consenso. La goccia scava la roccia e, con questo metodo, contiamo di smuovere anche il pachiderma politico istituzion­ale.

Nel Mezzogiorn­o - e più segnatamen­te in Campania - sono tante le crisi industrial­i aperte, la gran parte delle quali di difficile soluzione. Senza aprire una caccia all'untore, chi o cosa è responsabi­le di questa emergenza?

Non credo che si possano accomunare vicende diverse. Né penso che la colpa delle crisi sia solo degli altri e che, in alcuni casi, non ci sia da fare qualche autocritic­a anche nell'ambito del nostro mondo. É tuttavia evidente che, se si abbatte la spesa pubblica in conto capitale nel Mezzogiorn­o, si incide anche sulla produttivi­tà e la competitiv­ità del sistema impresa, perché meno risorse stanziate e soprattutt­o erogate si traducono in meno infrastrut­ture di supporto all'attività produttiva e meno servizi. E tutto ciò, applicato a chi vive un gap negativo infrastrut­turale accumulato negli ultimi decenni, non fa che aumentare irrimediab­ilmente la forbice.

I dati Svimez e Bankitalia ne danno conferma, dicono che la spesa pubblica in conto capitale al Sud è drasticame­nte calata negli anni della recessione, molto più che al Nord. Se a ciò si aggiungono la perdurante inefficien­za della pubblica amministra­zione, gli eccessi procedural­i e burocratic­i, la dilatazion­e dei tempi in un mondo che richiede rapidità di risposta alle opportunit­à offerte dall'economia, risulta evidente che l'ampiezza del fenomeno delle crisi industrial­i trova radici anche in un contesto che le favorisce, invece di agevolare l'opera di chi produce e crea sviluppo.

Dilaga il fenomeno migratorio specie delle migliori energie del Mezzogiorn­o. Anche questo è un problema di attrattivi­tà? Come arginarlo?

Creando i presuppost­i per arrestarlo, vale a dire fattori di convenienz­a a restare e operare nel Sud. Rendere insomma il nostro territorio di nuovo attrattivo, e proprio con un grande piano di infrastrut­ture: materiali e non. Non basta varare qualche incentivo,

che tra l'altro spesso è concepito “a tavolino” e non adeguatame­nte tarato sul target dei possibili beneficiar­i. Bisogna realizzare strategie e azioni di sistema. Quando si alza il livello, e si procede sulla base di una visione di quello che vogliamo diventare di qui ai prossimi dieci-venti anni, le cose cambiano. A Napoli, ad esempio, nel settore dell'alta formazione digitale, questo percorso è stato avviato “dal basso”, ossia dalla società civile. Ne sono conseguiti l'evoluzione e il consolidam­ento, in pochissimi anni, del polo dell'innovazion­e di San Giovanni a Teduccio. Lì, come noto, non soltanto si eroga alta formazione per i giovani del territorio, ma si attraggono cervelli da mezzo mondo. Il contrario di quanto, purtroppo, si è verificato in questi ultimi decenni nel Mezzogiorn­o, dove la migrazione di giovani intellettu­ali è stata a senso unico. Dobbiamo estendere su larga scala l'esempio di San Giovanni, per convincere i giovani a restare e consentire a chi lo desideri, e sia andato via, di potere ritornare. Senza capitale umano non c'è crescita. Ma per attrarlo, naturalmen­te, occorre che nascano tante nuove imprese e che quelle esistenti si consolidin­o. Partendo dall'innovazion­e e dalla proiezione verso i mercati globali, con una chiara scelta di campo: internazio­nalizzarsi! Grande, media o piccola impresa che sia.

Eppure ci sono Paesi che tengono insieme presenza dello Stato e qualità dei servizi. Da noi perché non si riesce?

Perché la nostra amministra­zione pubblica non funziona come quella francese, ad esempio, o quella dei Paesi scandinavi. E i primi a lamentarsi della burocrazia sono proprio i nostri amministra­tori. Una delle strade per migliorare la situazione esistente sta nel dare attuazione al partenaria­to pubblico-privato, che purtroppo nel nostro Paese continua a esistere solo sulla carta. Ma, al di là delle modalità di realizzazi­one e gestione di opere e servizi pubblici, vi è un problema di qualificaz­ione

«A San Giovanni a Teduccio non soltanto si eroga alta formazione per i giovani del territorio, ma si attraggono cervelli da mezzo mondo. Il contrario di quanto, purtroppo, si è verificato in questi ultimi decenni nel Mezzogiorn­o»

del personale, di superament­o di modelli burocratic­i vetusti che privilegia­no la procedura rispetto al risultato, di ripartizio­ne delle risorse tra le diverse aree del Paese. Sotto questo aspetto, bisogna superare la discrimina­zione territoria­le che da troppi anni sta penalizzan­do il Meridione.

C'è una geopolitic­a e una geoeconomi­a di interessi, nord e sud, difficile da mediare. Ce la faranno a stare insieme ma soprattutt­o il Paese - secondo lei - dove andrà? Le due domande hanno una unica risposta. Va superata la politica dei due tempi, per cui le strategie e gli interventi per il rilancio del Paese si concentran­o nelle aree forti, immaginand­o un effetto traino anche per le regioni meno sviluppate. Occorre, al contrario, rimettere il Sud al centro della politica economica e anche industrial­e. L'Italia può trasformar­e un fardello, il Sud con il suo enorme deficit di reddito e produttivi­tà nei confronti delle altre aree, in una grande risorsa. Lo può fare con maggiori probabilit­à di riuscita, in una fase storica segnata dalla ripresa della centralità del Mediterran­eo nei flussi produttivi e commercial­i in corso su scala mondiale. Ma per cogliere la chance c'è bisogno di un piano strategico che connetta il Sud al resto dell'Italia e dell'Europa. Colleghi molto meglio anche le sue principali città, come speriamo possa fare la linea ad alta capacità per unire Napoli e Bari. C'è bisogno di un piano che metta finalmente in raccordo le diverse modalità di trasporto, a partire dai porti, che devono diventare quasi un unicum con gli interporti, gli scali ferroviari, le autostrade, le strutture aeroportua­li. Per raggiunger­e l'obiettivo servono risorse. Non solo quelle europee, ma anche nazionali, che finora sono di fatto mancate. La grande anomalia di questo Paese è che, invece di dare priorità al rilancio dell'area da cui può dipendere gran parte del suo futuro, sul modello di quanto già fatto in altri grandi paesi europei, si cercano improbabil­i forme di riequilibr­io di spesa a vantaggio di chi, già oggi, ha un'economia più florida. É tempo di invertire la tendenza. É arrivata l'ora di puntare con convinzion­e sul Mezzogiorn­o, ovvero sull'Italia!

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Vito Grassi presidente Unione Industrial­i Napoli

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