Porto di Salerno, una storia lunga dieci secoli
Per Alfonso Mignone «le Zes da sole non bastano se non adeguiamo le infrastrutture del trasporto senza metterle in rete dando vita a piattaforme logistiche integrate»
Realizzare il porto di Salerno non è stato semplice, porto che nasce nel e per opera di chi?
Le prime attestazioni dell'esistenza di uno scalo marittimo cittadino in una fonte scritta sono riconducibili a prima del X secolo e sono contenute nel Chronicon Salernitanum e nella Historia Normannorum di Amato di Montecassino. Entrambi gli autori ripercorrono episodi che attestano l'esistenza di un approdo e di un arsenale per la costruzione di naviglio militare. Fatto non trascurabile è la presenza di due rioni mercantili marinari: uno ebreo (la Giudaica) e uno amalfitano (Vico degli Atranensis,
oggi di Santa Trofimena). Quel che sappiamo è che per i Longobardi è il porto più importante del Principato ma, a livello internazionale, lo scalo recita un ruolo di secondo piano, vista la contiguità geografica dell'emergente potenza marittima di Amalfi. Dopo la conquista normanna ad opera di Roberto il Guiscardo e la perdita dell'indipendenza politica di Amalfi, Salerno, grazie anche al ruolo della Schola Medica,
diventa presto principale emporio del commercio con l'Oriente verso il Mille per l'importazione in Italia delle droghe medicinali da Costannalità tinopoli e da tutte le coste dell'Asia. Con i Normanni è un porto - capitale fino al 1127 (poi, con la nascita del Regnum Siciliae con Ruggero II, lo diventerà Palermo) e scalo di Genovesi e Pisani nei loro traffici con l'Africa e il Levante. Durante il dominio svevo si segnalano la nascita della Fiera Mercantile di San Matteo nel 1259 e la costruzione, nel 1260 (attestato da una lapide che trovasi nella nostra Cattedrale,) del Molo Manfredi (dal nome del Sovrano regnante). Entrambi fortissimamente voluti dal Magister della Schola Medica e influente uomo politico che fu Giovanni Da Procida.
Ripercorrendo la storia lunga dieci secoli emerge un problema ciclico dello scalo salernitano, quello del fenomeno dell'insabbiamento. Un tempo non risolto per ragioni tecnologiche, ma oggi?
Nessuno può mettere in dubbio che, nonostante la ciclicità del fenomeno, dovuta alle caratteristiche geomorfologiche del territorio, il porto di Salerno, grazie ad una comunione di intenti tra ceto portuale ed enti territoriali, ha sempre superato lo scetticismo iniziale ogni volta che veniva presentato un progetto riguardante l'ampliamento per la messa in sicurezza e la piena funzio
dell'infrastruttura. L'incuria a seguito dei mutamenti politici dal Basso Medioevo e del periodo Moderno, fortunali, sinistri marittimi (il più tragico nel 1879 riguardò i piroscafi RUTH e SILISTRIA) e il più volte mancato reperimento dei fondi necessari non hanno impedito la crescita dello scalo e il conseguente “salto” di classe e categoria che hanno permesso il raggiungimento di una dimensione internazionale. In Italia il problema del ritardo nel dragaggio è fondamentalmente di natura burocratica ed è frutto della competenza di troppi enti, di procedure troppo farraginose nei controlli e nelle bonifiche dei siti e di conseguenziali contenziosi. Di fronte a potenziali investitori e al tentativo di colmare il “gap” con altre realtà, come il Northeren Range e il West Africa, occorrono tempistiche certe, chiare e inequivocabili. Problemi simili non ne riscontriamo, ad esempio, nei progetti di costruzione dei porti degli Stati nostri competitors. Sicuramente le esperienze del raddoppio del Canale di Suez e le rotte della Via Marittima della Seta ci proiettano sempre più verso il gigantismo navale e a “corridoi” decisi dai players internazionali dello shipping ma lo scalo salernitano non
può perdere questa occasione a prescindere.
In termini di prospettive quale futuro immagina per Salerno e, quale - se non coincidessero - vorrebbe?
In questo attuale congiuntura storica ed economica assistiamo all'espansionismo cinese attraverso la Nuova Via della Seta che vede interessata, per il nostro Paese, la sponda adriatica. Genova e Trieste sono i porti per l'ingresso dei prodotti cinesi nei mercati dell'Europa centro-settentrionale. Mentre è in corso la guerra dei dazi tra U.S.A. e Cina, noi siamo fermi al palo senza una dimensione “marittima” della nostra politica estera sta rinascendo una nuova Lega Anseatica tra i porti del Nord Europa e il Regno Unito ha puntato sulla “Brexit”. Questi processi portano indubbiamente alla possibilità di allinearsi a Russia e Cina per sfruttare commercialmente la “Rotta Artica”. É tempo di riflettere su quale deve essere il ruolo, non solo di Salerno, ma dell'intero sistema portuale dell'AdSP del Mar Tirreno Centrale di fronte a queste scelte. Il porto di Salerno ha un futuro che è legato indissolubilmente a quello regionale e a quello nazionale, ma occorre far presto nell'interpretazione dei processi geopolitici attuali e nel comprendere quali mercati consolidare o intercettare perché le Zes non bastano se non potenziamo le infrastrutture portuali e non le mettiamo “in rete”. La fiscalità di vantaggio non annulla, da sola, il “gap” che ci portiamo indietro da anni nel Sud. Credo, guardando alla nostra posizione geografica e al nostro passato, che i nostri mercati di riferimento siano sempre quelli del Mediterraneo e, in particolare, quello del West Africa. In mancanza di rete ferroviaria e retroporto il percorso virtuoso dello “Short Sea Shipping” di cui Salerno è pioniera va alimentato e consolidato.
Quella del porto è, in fondo, la storia di una città. Cosa ha scoperto indagando sulle origini, quali tratti sono andati persi e quali secondo lei resistono?
La città ha sempre avuto sin dalle sue origini una vocazione prettamente mercantile. Di secondo piano rispetto ad Amalfi nell'Alto Medioevo e rispetto a Napoli dall'Età Moderna in poi. Oggi è una città con un porto rilevante a livello nazionale e internazionale ma non ha memoria delle sue tradizioni marinare. Non dobbiamo dimenticarci che per ben sei secoli Salerno aveva un porto - emporio e ospitava la fiera più importante del Mezzogiorno e tra le più frequentate del Mediterraneo. Come accade ancora oggi è tradizionale usanza religiosa celebrare, nel mese di settembre, con un'intera settimana di festeggiamenti, il Santo Patrono della città, in occasione della quale una folla numerosissima di contadini, di lavoratori, di marinai, veniva in devoto pellegrinaggio a visitare le spoglie dell'Apostolo. Naturalmente questo pellegrinaggio aveva fin dalle sue origini richiamato mercanti e artigiani, che abilmente sfruttavano l'adunarsi di tanta folla in un periodo determinato e in un determinato luogo per smerciare con più facilità le loro mercanzie. La Fiera era “franca”, ossia libera da gabelle e imposizioni doganali e ci fa riflettere su come il concetto di “fiscalità di vantaggio” (oggi valido per le Zes) fosse già, all'epoca, incentivo per sviluppare il territorio internazionalizzandolo con positive ricadute economiche. La piazza attirava mercanti fiamminghi, catalani, marsigliesi, fiorentini, egiziani e levantini che giungevano a Salerno in nave e si comprese che occorreva occasione potenziare il nostro porto. Oggi assistiamo ad un rapporto quasi conflittuale tra lo scalo e la città che deve molto, sul piano occupazionale, all'economia marittima. E anche l'Università dovrebbe fare la sua parte per avvicinare questi due mondi. Inviterei le istituzioni civili ed ecclesiastiche a rinverdire questa tradizione mercantile fieristica e identitaria con un appuntamento ciclico rievocativo e, nello stesso tempo, con forti connotazioni attuali, che possa coniugare fede, turismo e promozione di tipicità locali accompagnati da un Tavolo del Mare e del Commercio Internazionale e workshop sul tema delle relazioni Porto - Città. Solo ricordando chi eravamo possiamo programmare il presente per assicurarci di avere un futuro importante. Forse siamo ancora in tempo.