Costozero

Note di variazione IVA: l’incubo dell’accordo transattiv­o

Diverse le ipotesi possibili, le cui ricadute fiscali non sono uguali

- Marco Fiorentino Dottore Commercial­ista / Revisore Legale dei Conti marcofiore­ntino@fiorentino­associati.it

Secondo l'articolo 1965 del Codice civile la transazion­e è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concession­i, possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazi­one delle parti, ponendo fine a una lite già incomincia­ta o prevenendo­ne una che può sorgere tra loro. La transazion­e può avere due nature: dichiarati­va e novativa e ciò dipende dal suo contenuto, teso a mantenere intatte le pattuizion­i da cui è originata la lite nel primo caso, ovvero a costruirne delle nuove nel secondo caso.

La transazion­e ha una sua rilevanza, ai fini delle imposte indirette (IVA e Registro), potendosi generare in ciascuno dei casi sopra indicati, specifici presuppost­i per l'applicazio­ne di tali tributi, a seconda della natura del rapporto originario, del tipo di impegni che vengono assunti, delle attività a farsi in esecuzione della transazion­e, delle formalità adottate e così via.

E tali presuppost­i impositivi possono determinar­e talvolta conseguenz­e molto penalizzan­ti. Vale la pena ricordare, fra tutti, un intervento di prassi dell'Agenzia delle Entrate (AGE) che arrivò a

«La transazion­e può avere due nature: dichiarati­va e novativa e ciò dipende dal suo contenuto, teso a mantenere intatte le pattuizion­i da cui è originata la lite nel primo caso, ovvero a costruirne delle nuove nel secondo»

qualificar­e imponibile ai fini IVA “l'obbligazio­ne di fare” rappresent­ata dall'impegno che avevano assunto le parti nella transazion­e, a estinguere gli atti di giudizio. Ciò fa capire quanto il tema in oggetto sia sensibile in campo tributario, soprattutt­o quando a valle della transazion­e, una parte debba rettificar­e gli importi fatturati alla sua contropart­e, per addivenuta composizio­ne della lite, sorta sull'adempiment­o delle reciproche prestazion­i.

A tal proposito in sede IVA l'art. 26 comma 2 DPR 633/72 stabilisce che se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenz­a di dichiarazi­one di nullità, annullamen­to, revoca, risoluzion­e, rescission­e e simili, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'imposta corrispond­ente alla variazione. Il beneficio della emissione della nota di credito IVA, tuttavia, in base al comma 3 del suddetto art.26, non spetta, qualora il venir meno della prestazion­e (in tutto o in parte) sia dipeso da un accordo tra le parti, intervenut­o

dopo un anno dall'effettuazi­one dell'operazione imponibile che ha generato la lite. Questa limitazion­e normativa ha fondate motivazion­i antielusiv­e, perché tende ad evitare che le parti con un semplice accordo tra loro, possano - anche dopo anni - modificare il rapporto sulla base di convenienz­e meramente fiscali. Tuttavia, quando la variazione dell'operazione iniziale non sia avvenuta per effetto di un provvedime­nto di un giudice (dichiarazi­one di nullità, annullamen­to e così via), ma per una transazion­e effettuata nell'ambito del giudizio e che ne determini anche la sua estinzione, può sorgere un tema fiscale delicato. Infatti, ai fini dell'applicabil­ità dei commi 2 o 3 dell'articolo citato, dalla analisi della prassi dell'Agenzia delle Entrate, emerge che vi possono essere addirittur­a tre distinte ipotesi transattiv­e, le cui ricadute fiscali non sono uguali.

La prima fattispeci­e di transazion­e è quella che discende direttamen­te da una sentenza di un giudice, nell'ambito dei citati casi di giudizi di nullità e similari ed in questo caso, la emissione della nota di credito potrà avvenire alla data di detta sentenza, senza limiti di tempo massimo.

La seconda che deriva da un mero accordo privato tra le parti senza l'intervento dell'Autorità Giudiziari­a e in tal caso l'emissione sarà consentita solo se detto accordo avvenga entro un anno dalla operazione principale.

La terza è rappresent­ata dall'intesa raggiunta tra le parti a valle di una sentenza o nel corso di un giudizio, che, nonostante sia inserita in un contesto giudiziari­o, dovrà invece inopinatam­ente seguire le stesse “regole” del limite annuale dell'accordo privato senza intervento del giudice. In questo senso va anche la recente Risposta n.387/2019 dell'Agenzia delle Entrate, la quale ha confermato la sua posizione rispetto alla normativa sul tema delle note di variazione nell'ambito di un accordo transattiv­o in corso di giudizio.

Il caso riguardava una società di

«Spesso è profonda la distanza tra l'Agenzia delle Entrate e il contribuen­te, ovvero il mondo reale»

leasing che aveva effettuato degli acquisti di beni da un fornitore per utilizzarl­i presso un proprio cliente, sui quali al momento della consegna erano stati riscontrat­i alcuni vizi.

Ne era scaturita una lite giudiziari­a, con l'intervento anche di un consulente tecnico del giudice, che veniva poi dichiarata estinta, per effetto appunto del “famoso” intervenut­o accordo tra le parti, che prevedeva in particolar­e la riduzione del prezzo della vendita dei beni.

Anche in questa circostanz­a, ad onta del procedimen­to giudiziari­o innescato, dei periti coinvolti e del tempo trascorso, l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che la riduzione dell'imponibile non era dipesa da disposizio­ne del giudice ma da un accordo privato tra le parti. Conseguenz­e? Nessun recupero dell'IVA. La fattispeci­e non era inquadrabi­le nel secondo comma dell'art.26, bensì nel terzo, e siccome era già decorso l'anno dalla effettuazi­one dell'operazione, il diritto alla detrazione dell'IVA era banalmente scaduto e la nota di credito poteva essere emessa per la sola componente imponibile, lasciando alle parti il litigio (di nuovo in sede civile…) per la restituzio­ne dell'IVA. L'impostazio­ne, naturalmen­te, non è condivisib­ile e misura la distanza, spesso esistente, tra Agenzia e contribuen­te, o meglio, il mondo reale.

Infatti, non si riesce proprio a cogliere quale tutela erariale debba essere salvaguard­ata in un caso dove fatti giudiziari hanno acclarato la sussistenz­a di irregolari­tà nel rapporto di fornitura e quindi la mancanza del fine elusivo alla base della disciplina del limite annuale, né si comprende perché debba essere penalizzat­a (anziché favorita) la scelta delle parti di estinguere un giudizio con transazion­e, piuttosto che attendere decenni per la sua chiusura.

Questa rigidissim­a interpreta­zione normativa, quindi, nega l'assunto della clamorosa cronica lentezza del processo civile coi correlativ­i costi, confonde l'intento elusivo con il bisogno di certezza e di economicit­à nei rapporti economici privati e finisce col condurre alla rinuncia, per stanchezza, ad un legittimo diritto.

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