Il digitale e lo sguardo del nuovo spettatore
Il ragionare critico, teorico e metodologico di Mario Tirino è una profondissima e sapiente riflessione sociologica sui cambiamenti in atto (dalla tecnologia alla società, dall'estetico allo storico)
Lo spettatore oggi. Verso quale dimensione ci spinge lo statuto spettatoriale di un cinema inesorabilmente “post”? E quali nutrimenti hanno determinato cambiamenti a dir poco epocali e apicali nel grande immaginario dell'audiovisivo del nostro presente? E soprattutto quali sono stati i capitoli nodali di questo cambiamento/ripensamento/riformulazione di tutte le logiche di consumo, produzione e fruizione? A queste, e a tante altre domande, con efficacia analitica risponde il corposo saggio di Mario Tirino Postspettatorialità. L’esperienza del cinema nell’era digitale (Meltemi, Milano, 2020). Ma procediamo con ordine. Tutto sembra aver radice nel “mediashock”. Quel turbamento che in una precisa origine vede come figura aurorale Walter Benjamin forse tra i primi a cogliere la matrice pervasiva della trasversalità mediologica del cinema in grado di aprire aggiuntivi sconfinamenti, nuovi rituali, innovative cartografie, “industrializzazione della percezione”, “democrazia comunicativa”.
Il volume, inoltre, approfondisce lo snodo necessario tra teorie della società e media digitali. Apre a successivi spazi d'indagine (soprattutto nel segno della “rimediazione”, della “media archaelogy” e della progettazione “post-mediale”). Chiama in sontuoso soccorso teorico i nomi di Bolter e Grusin, Manovich, Huhtamo, Lévy, de Kerckhove, Maffesoli, Jenkins,
Krauss). Spinge in accelerazione verso le diramazioni del digitale, dei rinnovati processi educativi, degli statuti di consumo, della distribuzione, dell'archivio. Altro punto di forza e metodologia di Postspettatorialità riguarda il territorio scientifico che lo anima. II libro pur inserendosi in un rigorosissimo lavoro di scuola e decisamente all'interno dei saperi e delle teorie scientifiche sociologiche e mediologiche, è frutto indomito della miglior interdisciplina. Infatti, il lavoro di Mario Tirino è splendidamente attento alle trame di ricerca della miglior elaborazione interdisciplinare. Ed è lo stesso Tirino a dircelo nella sua Introduzione: “lo sforzo è stato quello di saldare contributi eterogenei, ibridi, provenienti da ambiti disciplinari non sempre in stretto dialogo tra di loro: la complessità dei fenomeni sopra accennati impone di valersi di un impianto teorico complesso, in cui gli strumenti della mediologia e della sociologia dei processi culturali, che restano gli assi teorici di riferimento, si uniscono a ulteriori prospettive - filosofia analitica, Audience Studies, remix theory, media archaeology - nel tentativo di restituire i numerosi livelli di lettura della rivoluzione in atto nelle forme della spectatorship postcinematografica”. La poderosa pubblicazione di Mario Tirino, “segna un punto di svolta nel dibattito contemporaneo sui media digitali” (sottolinea nell'attenta prefazione Gino Frezza). Un volume che ci dice che lo sguardo critico del nuovo spettatore è sempre più interno ad una prospettiva dialettica tra le logiche di produzione/consumo/distribuzione. Il procedere teorico di Tirino designa la narrazione audiovisiva come l'anello perfetto del ricongiungimento tra sensibilità creativa e strutture digitali, tra inventio e ricerca delle forme, tra modelli classici e innovazione del tecnologico. E sia ben chiaro il suo non è un fanatico appellarsi alla forza delle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia (queste cose lasciamole ai tecno-entusiasti o ai lor degni avversari tecno-scettici). Il ragionare critico, teorico e metodologico di Mario Tirino è una profondissima e sapiente riflessione sociologica sui cambiamenti in atto (dalla tecnologia alla società, dall'estetico allo storico). E Tirino nel definire i contorni e le linee di fuga del digitale ci narra un cambiamento radicale e profondo verso cui le forme audiovisive non possono permettersi di non contaminarsi.