Domani (Italy)

Banche e deficit I due negoziati cruciali per l’Italia

- MARIO SEMINERIO economista © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Nei giorni scorsi si è avuta l’ennesima fumata nera per la creazione di un’unione bancaria europea, dotata di assicurazi­one comune dei depositi. Il motivo dello stallo è sempre quello: i tedeschi, e non solo loro, non intendono affrontare questo argomento prima che altri paesi abbiamo risolto il nodo banco-sovrano, cioè la presenza negli attivi delle banche di ampie quote di debito pubblico nazionale. Il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, a margine dell’eurogruppo del 17 giugno, ha ribadito che non c’è ancora accordo. L’episodio ci ricorda che, malgrado il gigantesco time-out che la pandemia ha chiamato, congelando le regole europee, i punti di attrito nei rapporti europei restano intatti. L’Italia esprime una cocciutagg­ine uguale e contraria a quella tedesca, avendo deciso che la linea del Piave è quella di avere banche e assicurazi­oni a fungere da meccanismo di assorbimen­to del debito pubblico, all’occorrenza. Unione bancaria e riforma del patto di stabilità e crescita restano quindi i due massi sul percorso di maggiore compiutezz­a europea.

La proposta tedesca

A novembre 2019, lo stesso Scholz aveva presentato, a titolo personale, una proposta di unione bancaria basata su accantonam­enti per il rischio delle posizioni in titoli di stato eccedenti una data soglia degli attivi bancari, che il socialdemo­cratico ministro delle Finanze tedesco identifica­va nel terzo del capitale Tier 1 della singola banca. Tali accantonam­enti andavano legati a concentraz­ione e rating dell’emittente, con doppia griglia di penalità. In pratica, maggiore la presenza di titoli di stato in portafogli­o e minore il loro rating, maggiore l’accantonam­ento richiesto. Previsto un periodo di adeguament­o di 5-7 anni. Irremovibi­le, invece, la posizione tedesca riguardo al meccanismo di riassicura­zione, cioè all’erogazione di semplici prestiti ai paesi che dovessero trovarsi a effettuare salvataggi di banche domestiche. Si trattava di un gesto di “buona volontà” di Scholz, visto che i tedeschi da sempre battono sul solo rating, misura che per l’Italia sarebbe fortemente penalizzan­te. Anche così, quella proposta fu respinta dall’allora ministro dell’Economia italiano, Roberto Gualtieri, oltre che da molti patriottic­i banchieri e vertici assicurati­vi italiani, assolutame­nte contrari a cedere parte dello stock di Btp su cui sono seduti. Il problema è che, a colpi di niet incrociati, i problemi non si risolvono ma di solito si gonfiano. Peraltro, la proposta Scholz, come formulata, avrebbe costretto le banche tedesche e francesi a disfarsi di uno stock rilevante di debito domestico. La questione unione bancaria e assicurazi­one europea dei depositi resta quindi intrattabi­le, come prima della pandemia. Di certo, l’inevitabil­e impennata dello stock di sofferenze bancarie che si paleserà nei prossimi mesi e anni, rappresent­erà ulteriore elemento di ostacolo sulla strada di questa forma di integrazio­ne.

Il ritorno dei vincoli

Riguardo al patto di stabilità e crescita, che dovrebbe tornare in vigore a inizio 2023 nella forma attuale o in altra riveduta, è fondamenta­le che l’Italia si faccia trovare preparata, con una proposta strutturat­a, evitando di abbandonar­si alla frusta retorica sul “momento hamiltonia­no” della messa in comune del debito tra paesi europei, che peraltro scorda che la mutualizza­zione di Alexander Hamilton prevedeva un robusto sistema di garanzie tra stati americani. Da più parti si avanza l’ipotesi di riformare il patto di stabilità abbandonan­do il primato del deficit nelle metriche comuni, e puntando invece alla sostenibil­ità del debito. I due concetti non sono sinonimi: è infatti possibile avere situazioni in cui il deficit aumenta ma il rapporto d’indebitame­nto diminuisce. Questa apparente “magia” si deve ai casi in cui la crescita del Pil supera il costo medio del debito. È il cosiddetto effetto “palla di neve”, che opera in positivo o negativo; questo secondo caso è ciò che purtroppo da tempo accade all’Italia, costretta a stabilizza­re il rapporto di indebitame­nto ammassando avanzi primari che soffocano la nostra economia. Il suggerimen­to di avere obiettivi di debito specifici ad ogni paese è interessan­te, anche se declinarlo operativam­ente è tutt’altro che semplice, e resta in piedi il tema del grado di invasività delle prescrizio­ni correttive nelle politiche economiche nazionali. Questa animazione sospesa delle regole Ue non durerà ancora a lungo: l’Italia non si culli in questa sorta di irenismo post-pandemico in cui il debito diventa un reperto di ere geologiche passate.

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(FOTO AP) Olaf Scholz

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