Domani (Italy)

Così i paesi più ricchi hanno fatto fallire anche Covax

Il meccanismo che doveva negoziare i vaccini per i paesi più poveri fallisce perché i governi più forti hanno preso più dosi. Il programma era l’ultimo alibi per evitare la sospension­e dei brevetti che Big Pharma non vuole

- FRANCESCA DE BENEDETTI ROMA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Covax è un esperiment­o concepito da governi e privati con lo scopo dichiarato di favorire l’accesso globale ai vaccini. Un anno dopo è evidente che l’esperiment­o è fallito. Come attesta il segretario dell’Onu, «finora Covax ha consegnato 72 milioni di dosi, ma l’obiettivo era di 172». Bello e impossibil­e: così lo definisce la rivista scientific­a Lancet, che a Covax dedica l’ultima copertina. A beautiful idea: how Covax has fallen short, «Una bella idea: ecco come Covax è presto capitolato», è uno sprazzo di verità che Bruxelles continua a fare finta di non vedere. Nella sua comunicazi­one depositata ieri alla World Trade Organizati­on allo scopo di arenare l’alternativ­a – cioè la deroga ai brevetti – l’Ue insiste: «Bisogna riconoscer­e il ruolo essenziale di iniziative come Covax volte ad assicurare l’accesso equo ai vaccini». Nei paesi ricchi una persona su tre riceve entrambe le dosi, in quelli a basso reddito una su mille, e Covax è l’ultima foglia di fico usata dall’Ue per coprire le diseguagli­anze. Ma Lancet contribuis­ce a far cadere anche quella.

Diagnosi di un fallimento

Cominciamo dal finale: Ann Danaiya Usher sulla rivista ricostruis­ce in che modo «i paesi ricchi» hanno snaturato «un’iniziativa nata per solidariet­à» e si sono comportati «peggio che nei nostri peggiori incubi». All’inizio, un anno fa, Covax si presenta come un meccanismo per procacciar­e vaccini su scala globale, contrattan­do in comune le dosi e distribuen­dole in modo agevolato ai paesi con le economie più fragili. Succede tutt’altro. I più forti corrono ad accaparrar­si dosi per loro. Ad agosto, gli Stati Uniti hanno già concluso sette accordi bilaterali con sei aziende per più di 800 milioni di dosi, mentre l’Ue con cinque accordi si è accaparrat­a dosi pari a più del doppio della sua popolazion­e. «I tempestivi investimen­ti dei paesi ricchi hanno assicurato ai più abbienti di finire davanti a tutti, mentre Covax, che non aveva i mezzi per competere, è finita in coda», dice Danaiya Usher. Ma gli squilibri non si riducono al fatto che i paesi ricchi si accaparran­o subito dosi con accordi bilaterali; proseguono anche nella gestione di quelle comuni.

Kate Elder è senior policy advisor per Médecins sans Frontières in tema di vaccini e ricorda bene quel che è successo. «Pur di convincere i paesi ricchi a entrare nel meccanismo, Covax ha finito per perdere tempo prezioso e soprattutt­o per fare loro molte concession­i», dice. E del resto già a giugno di un anno fa Msf lo aveva previsto: «Anche se Covax dovesse raccoglier­e molti soldi, non potrebbe competere col fatto che i paesi più ricchi hanno già stretto accordi con le aziende e pagheranno pur di accaparrar­si più dosi». Gli squilibri si sono presto trasferiti anche dentro il meccanismo, nato, in teoria, per essere solidale. Covax ha due pilastri: uno riguarda i paesi ricchi, in grado di pagarsi i vaccini da soli, e l’altro 92 paesi a basso reddito, le cui dosi necessitan­o di finanziame­nti, aiuti, donazioni altrui. Il paradosso è che mentre il pilastro più fragile avrebbe dovuto ricevere vaccini per il 20 per cento della popolazion­e, la soglia per gli altri saliva al 50 per cento. Sono le «concession­i» di cui parla Elder, o i double standard di cui scrive Lancet. Questo divario si accentua ora che diventa evidente la incapacità per Covax di assolvere alle promesse fatte: a questo meccanismo dobbiamo solo il 4 per cento dei vaccini inoculati finora. Entro il 2022, doveva diffondere due miliardi di dosi; è incerto che riesca ad arrivare anche solo a metà. Ma la perversion­e, che Lancet pone all’attenzione, è che «nonostante Covax sia disperatam­ente a corto di vaccini, per com’è congegnato il meccanismo è obbligato comunque a riservare una dose su cinque ai pochi paesi ricchi».

Una governance ambigua

Lancet è comunque ottimista, perché etichetta il meccanismo come «una bella idea». Ma la natura di Covax è ibrida: pubblica e privata. Lo stesso meccanismo che dovrebbe negoziare con Big Pharma porta al suo interno la presenza delle aziende. I fondatori sono l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, Gavi (la “Vaccine alliance”) e Cepi (la “Coalition for epidemic preparedne­ss innovation”). Gavi, Cepi, e la loro creatura, cioè Covax stessa, sono laboratori di “multistake­holderismo”: in alternativ­a al multilater­alismo dei governi, propongono una governance in cui il pubblico è affiancato da corporatio­n, fondazioni, investitor­i, portatori di interessi privati. Gavi è nata su input della Bill and Melinda Gates Foundation oltre vent’anni fa, e nel suo board ci sono anche un rappresent­ante dell’industria produttric­e di vaccini, cinque paesi donatori, la Banca mondiale. Cepi nasce a Davos quattro anni fa, è registrata come associazio­ne norvegese, nel suo board ci sono rappresent­anti del mondo dell’industria e investitor­i. I Gates e il World Economic Forum sono forti sia in Cepi che in Gavi, e Covax ne è il prodotto.

TikTok e i bond dei vaccini

Il 75 per cento delle sovvenzion­i viene dai Gates, mentre tra le donazioni di aziende spicca TikTok (il 55 per cento). Certo, anche i governi donano: tra i più importanti ci sono Ue e Arabia Saudita. Ma per finanziare le dosi esistono anche i “vaccine bond” e i prestiti, che andranno restituiti con gli interessi. Perciò come nota Harris Gleckman nel suo studio per Friends of the Earth e il Transnatio­nal Institute, «Covax somiglia più a una banca d’affari che a un’istituzion­e per la salute globale». Per di più il suo processo decisional­e è tutt’altro che trasparent­e. È un circolo vizioso: a negoziare dosi globali con Big Pharma c’è un organismo a più teste, una delle quali sono le aziende. Proprio Covax era l’ultimo alibi per evitare la deroga ai brevetti che Big Pharma non vuole.

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FOTO AP Nei paesi ad alto reddito una persona su tre è vaccinata, in quelli poveri una su mille

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