Anche il disimpegno può diventare militanza
Ho trovato molto interessante il dibattito sul libro di Walter Siti, “Contro l’impegno”. Proprio in questi giorni sto leggendo un saggio su Giacomo Leopardi di Elio Gioanola dove si dà conto, tra l’altro, di un confronto molto affine al vostro tra il poeta recanatese e il circolo fiorentino riconducibile al Vieusseux e che secondo Leopardi incarnava quella cieca e famosa fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive dell’umanità”. Per i componenti del circolo, del quale faceva parte il Tommaseo, “nemico” giurato di Leopardi e del suo pensiero, la cultura era parte integrante della politica, “strumento operativo per un’azione efficace sulla realtà”. Per Leopardi, invece, la cultura “era alta meditazione sugli esistenziali e coscienza paralizzante del vero”, voleva dire occuparsi solo delle dinamiche che riguardavano l’uomo, non la società.
Anzi, considerando la vanità degli sforzi e gli studi compiuti da Solone in poi per raggiungere la perfezione della società e ottenere la felicità dei popoli, al poeta recanatese fa “ridere questo furore per i calcoli e gli arzigogoli legislativi”. Perché gli uomini sono infelici sotto ogni forma di governo e pertanto si chiede: la felicità dei popoli, il progresso delle masse, è possibile senza la felicità dei singoli uomini? La colpa dei mali secondo Leopardi è della Natura che origina la vita degli esseri e ne traccia la miserevole sorte, gli uomini non hanno alcuna responsabilità.
Trovo tutto questo un esempio di come una palese dichiarazione di disimpegno possa trasformarsi comunque, come effetto collaterale, in una precisa militanza culturale. E inevitabilmente politica.