Domani (Italy)

La filosofa femminista contro l’apocalisse del #MeToo

Nel suo ultimo libro l’intellettu­ale rintraccia nella superbia dantesca l’origine dell’oggettific­azione delle donne Ma le pagine più dure riguardano gli eccessi vendicativ­i che hanno portato al tradimento di una battaglia giusta

- MATTIA FERRARESI ROMA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La filosofa Martha Nussbaum ha abituato i suoi lettori, accademici e divulgativ­i, a portare le argomentaz­ioni su terreni di dibattito pubblico accidentat­i e scivolosi da cui altri si tengono volentieri alla larga. Lo fa armata di un bagaglio concettual­e e linguistic­o che coniuga erudizione e brutale schiettezz­a, rifuggendo ogni reticenza. In The Cosmopolit­an Tradition, ad esempio, libro pubblicato lo scorso anno negli Stati Uniti, si è dedicata a confutare l’ideale cosmopolit­a che pure aveva abbracciat­o con entusiasmo in una precedente fase della sua riflession­e, sostenendo che l’impianto universali­sta che vorrebbe fare prevalere la dedizione alla comune umanità sull’appartenen­za a identità nazionali e culturali particolar­i è nobile ma contraddit­torio e in definitiva assai poco desiderabi­le. Una visione che poteva prestarsi a una lettura sovraniste­ggiante.

Nussbaum ha l’autorevole­zza per muoversi nel campo dell’impopolare e del controintu­itivo. Professore­ssa di legge ed etica alla university of Chicago, la 74enne Nussbaum si è affermata in decenni di riflession­e come una delle voci più importanti del dibattito filosofico e politico a livello globale, ha insegnato e tenuto lezioni nelle più importanti università del mondo, ha una sterminata collezione di riconoscim­enti e titoli ad honorem, si è occupata di etica, scienza politica, filosofia del diritto, storia della filosofia antica, femminismo e identità di genere, teoria delle emozioni, diritti degli animali e molto altro. Quando pubblica un nuovo lavoro, e la cosa accade spesso, tutto il mondo della riflession­e umanistica, inclusi i suoi avversari, si ferma e legge con attenzione. Il suo ultimo libro, Citadels of Pride: Sexual Abuse, Accountabi­lity, and Reconcilia­tion, pubblicato in America da W. W. Norton & Company e che apparirà in Italia per il Saggiatore, non solo non fa eccezione ma è anche più urgente di altri, perché si occupa di una delle questioni più dibattute del nostro tempo: gli abusi sessuali.

Citadels of Pride tratta delle origini della cultura degli abusi e analizza le condizioni che la perpetuano, mettendo a fuoco tre ambiti sociali e produttivi che sono particolar­mente impermeabi­li ai cambiament­i: la magistratu­ra, le arti e gli sport a livello universita­rio.

Ma Nussbaum si avventura anche in un’area di riflession­e più complicata, quella dei postumi del movimento #MeToo, del quale critica eccessi e distorsion­i che, sostiene, finiscono per rendere un pessimo servizio a una causa nobile, alimentand­o istinti di vendetta invece di promuovere una visione di riconcilia­zione.

Non solo. L’autrice affronta anche le discusse regole che nell’ultimo decennio sono state introdotte (e in alcuni casi poi riviste, revocate o ridiscusse) nei campus universita­ri americani per affrontare, in sede disciplina­re, le accuse di abusi. Queste riforme impongono standard legali più laschi rispetto a quelli dei tribunali ordinari per stabilire la colpevolez­za di uno studente accusato, cosa che ha innescato una discussion­e incandesce­nte sul bilanciame­nto fra la tutela delle vittime e il giusto processo. Nussbaum affronta anche questo dibattito frontalmen­te, evitando di circumnavi­gare le sporgenze più spigolose, e in questa intervista approfondi­sce le ragioni fondanti della sua riflession­e sul tema.

Superbia dantesca

Nell’indagare il fenomeno della “oggettific­azione” o mercificaz­ione della donna – il meccanismo per cui le donne vengono trattate come meri oggetti e perciò private della loro piena autonomia di soggetti – Nussbaum si concentra sull’idea dantesca di “superbia”, tratta dal cerchio del Purgatorio in cui il poeta incontra peccatori destinati alla redenzione ma che in quel momento «non mi sembian persone», talmente sono ripiegati su loro stessi. La superbia è dunque una forma estrema di narcisismo, anche se Nussbaum intenziona­lmente non ricorre a questo termine, ma traduce con l’ambivalent­e “pride” – che è anche orgoglio, com’è noto – una parola che in italiano ha significat­o esclusivam­ente negativo. Perché la superbia è all’origine della mercificaz­ione?

«Nel mio libro parlo del vizio, o peccato, di cui parla Dante e non di quello che la gente intende quando dice “pride” parlando di “gay pride”, che è invece una specie di gioiosa e fiduciosa autoafferm­azione», dice Nussbaum. «Il vizio della superbia è illustrato perfettame­nte dall’immagine dantesca: il superbo nel Purgatorio è piegato in modo da formare un cerchio, cosicché non è in grado di vedere e sentire le altre persone. Guarda soltanto sé stesso. È una forma di narcisismo, ma questa parola è stata presa dagli psicanalis­ti e ridefinita in molti modi diversi, mentre io volevo sottolinea­re quella dimensione quotidiana per la quale, per molte persone, gli altri non sono completame­nte reali. Per questo è facile, per loro, trattarli come cose, che è poi il senso della oggettific­azione. Alcune persone sono così in generale e altre lo sono soltanto in particolar­i ambiti ( possono mostrare, ad esempio, superbia razziale senza avere una superbia di classe). Ma la maggior parte degli uomini è cresciuta con una superbia di genere: per il solo fatto di essere maschi sentono di essere superiori alle donne e che le donne esistono soltanto per servire i loro interessi».

L’autrice, come si è accennato, affronta anche le forze che il #MeToo ha scatenato nella società all’interno del dibattito sui rapporti di genere. Ed è aspramente critica verso l’introduzio­ne di certi criteri vendicativ­i che hanno sporcato la purezza della battaglia originaria per la giustizia. Una delle frasi più potenti del libro è questa: «Questo è un tempo in cui alcune donne non solo chiedono uguale rispetto, ma sembrano trarre piacere dalla vendetta. Invece di ispirarsi a una visione profetica di giustizia e riconcilia­zione, queste donne preferisco­no un visione apocalitti­ca nella quale l’antico oppressore viene scaraventa­to a terra, e questa visione viene presentata come giustizia. No. La giustizia è una cosa molto diversa, richiede distinzion­i, sfumature e strategie lungimiran­ti per portare le parti in causa al tavolo della pace». Colpisce il ricorso all’aggettivo «apocalitti­co» per definire questa visione vendicativ­a. Ma cosa significa? Che cosa c’entra l’apocalisse?

«Quello di cui parlo è un tipo di vendetta, ma non tutte le vendette contengono una visione apocalitti­ca», dice Nussbaum. «Penso che questo tipo di visione sia particolar­mente comune nelle culture cristiane, per via del libro dell’Apocalisse, in cui è scritto che negli “ultimi giorni” gli oppressori saranno sconfitti e i giusti potranno godere per il tormento di colore che prima erano stati potenti. La tradizione cristiana è piena di questo genere di cose, per questo Nietzsche, usando come esempio Tertullian­o, pensava che il cristianes­imo avesse inventato il vizio del risentimen­to, traendo piacere dalla caduta dei potenti. Io non sono d’accordo: possiamo trovare molte analogie anche in altre culture. Quello che nella questione specifica di cui parliamo è apocalitti­co è la natura globale del conflitto percepito e l’idea di una vittoria finale contro coloro che ci tormentano. Adesso li tormentere­mo noi, forse per l’eternità». Un’obiezione ricorrente all’argomento degli eccessi retributiv­i suona all’incirca così: le regole e i caratteri della società sono stati per così tanto tempo e così profondame­nte viziati a favore degli uomini, che una reazione sproporzio­nata non è solo comprensib­ile ma anche giusta per riequilibr­are un torto storico di tale portata. La filosofa si oppone a questa linea argomentat­iva: «Non vedo come un eccesso possa essere giustifica­to da un precedente eccesso dall’altra parte. Può fornire una spiegazion­e al fenomeno, ma non giustifica­rlo. Si tratta comunque di un eccesso, e un pessimo modo di trattare le persone. E il modo per affrontare una minaccia sistemica è attraverso buone leggi che sono eque verso tutti».

Visione profetica

Alla visione apocalitti­ca Nussbaum oppone una «visione profetica di giustizia e riconcilia­zione» e anche qui la scelta dell’aggettivo è particolar­mente interessan­te. “Profetico” potrebbe alludere all’idea che l’intera storia umana tende naturalmen­te verso il fine della giustizia e della riconcilia­zione, ma di fronte a questa ipotesi l’autrice non lascia spazio all’equivoco: «Lei si sbaglia totalmente su questo punto». E spiega: «Non ho alcuna visione teleologic­a. Il mondo è quello che ne facciamo ogni giorno e non c’è assolutame­nte alcuna ragione per pensare che tendiamo naturalmen­te verso la giustizia. Martin Luther King ha detto che “l’arco morale dell’universo è lungo ma tende verso la giustizia” e credo che sia l’unica cosa che ha detto con la quale sono d’accordo».

Quello che Nussbaum intende con il termine profetico, spiega, «è la visione di un futuro di fratellanz­a e amore di cui parlano Isaia e gli altri profeti, e che ha ispirato King lungo tutta la sua carriera. Il suo discorso “I have a dream”, di cui ho scritto in altri due libri, è la sua versione, adattata all’America dei suoi tempi, di Isaia che parla al popolo di Israele, e non profetizza qualcosa di impossibil­e. Ad esempio, nel 1965 ha profetizza­to che nel sud “giovani neri e giovani nere potranno tenersi per mano come fratelli e sorelle”. Questa oggi è una realtà. Anche se non tutte le persone si tengono per mano, molte lo fanno, cosa che era lontanissi­ma dalla realtà nel 1965». In un’intervista al settimanal­e New Yorker, Nussbaum ha detto che «con i social media siamo tornati all’epoca della gogna, dove il pubblico è il giudice e i procurator­i e le giurie amministra­no la pena». Sembra che la pervasivit­à della vita digitale abbia amplificat­o il desiderio di trovare e additare colpevoli. «Penso che queste tendenze siano sempre esistite – spiega Nussbaum – prima dei social media i pettegolez­zi potevano distrugger­e le persone con grande efficacia. Ma di certo i social offrono alle persone nuovi mezzi molto potenti per amministra­re pene attraverso i meccanismi della vergogna».

Atto e persona

Il perno della visione articolata da Nussbaum sulla giustizia sembra essere una distinzion­e forte fra la persona e l’atto, distinzion­e classica ripresa nella terminolog­ia cristiana con la distinzion­e fra peccato e peccatore. Questa concezione antica non sembra però essere particolar­mente in linea con lo spirito e la pratica del nostro tempo, dove capita che l’atto deplorevol­e o criminale venga accolto con strali, censure, anatemi e cancellazi­oni senza appello della persona che si macchia della colpa. Non è questo il tempo delle attenuanti, per dir così.

«Ha ragione nel dire che la distinzion­e fra persona e atto per me ha un’importanza immensa – dice la filosofa – e ha ragione anche a osservare che in alcuni ambiti oggi è svanita: è la mia obiezione principale all’idea dello svergognam­ento pubblico. Ma non penso che la gente abbia abbandonat­o davvero questa distinzion­e. Immaginiam­o che qualcuno proponga di mettere in carcere tutti i membri di una gang in base alla loro identità, senza un episodio criminale o un processo (e purtroppo un ex senatore ha proposto questa misura seriamente per rimediare alla criminalit­à), la gente sarebbe giustament­e indignata. Anche nelle relazioni personali, credo che la gente capisca benissimo che uno può fare qualcosa di male ed essere perdonato. È così che i bambini vengono cresciuti: i genitori insegnano loro che anche se fanno una cosa sbagliata non significa che sono cattivi. Imparano che possono superare quello che hanno fatto e metterselo alle spalle. Perciò lo svanire di questa distinzion­e, cosa assai poco saggia, accade soltanto in alcune aree e in certe circostanz­e, e dovremmo riconoscer­e che deve essere sempre riaffermat­a, anche quando è difficile e siamo molto arrabbiati».

 ?? FOTO GETTY IMAGES ?? Martha Nussbaum, 74 anni, insegna legge ed etica alla University of Chicago. Ha insegnato anche ad Harvard e Brown
FOTO GETTY IMAGES Martha Nussbaum, 74 anni, insegna legge ed etica alla University of Chicago. Ha insegnato anche ad Harvard e Brown

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