La vespa che ingannò Fabre
I meravigliosi «Ricordi» del grande naturalista, convinto che l’intelligenza degli insetti non fosse flessibile. Ma le più recenti ricerche sembrano smentirlo
Fu durante un viaggio in treno a Genova, complice l’incontro casuale con uno studioso olandese degli aspetti bioetici delle neuroscienze, Pim Haselager, che venni a sapere di Backyard Brains e dello scarafaggio robotico Roboroach.
Backyard Brains è una società fondata da due studenti di dottorato dell’Università del Michigan, con l’obiettivo di introdurre i ragazzi delle scuole medie agli esperimenti delle neuroscienze, impiegando apparecchiature molto meno costose di quelle disponibili nei laboratori di ricerca, ad esempio circuiti elettronici elementari e un normale cellulare per la trasmissione dei dati. Tra i vari kit, oltre a quello che consente di misurare la risposta elettrica dei muscoli o del cervello umano, ce n’è uno per realizzare uno scarafaggio cyborg, Roboroach. Il kit comprende gli elettrodi per stimolare le cellule nervose, la necessaria circuiteria elettronica, gli strumenti per condurre la microchirurgia e, se lo desiderate, anche un certo numero di scarafaggi, Blaberus discoidalis.
La blatta discoidale, che in tutto il mondo viene allevata per fornire cibo a rettili, anfibi e mammiferi, può raggiungere i 3-4 cm di lunghezza. Inserire i microelettrodi nelle sue antenne è relativamente facile. L’intera operazione per realizzare un Roboroach richiede circa quarantacinque minuti. La blatta naturalmente deve essere anestetizzata, ponendola per qualche minuto in un bicchiere di acqua e ghiaccio. Inviando poi una microstimolazione all’antenna di destra, potete far muovere il vostro scarafaggio verso sinistra, oppure, al contrario, verso destra, stimolandone l’antenna di sinistra.
La conversazione con Pim mi è tornata alla memoria in questi giorni, rievocata grazie alla pubblicazione della nuova edizione del meraviglioso libro di Jean-Henri Fabre, Ricordi di un entomologo.
Nel libro di Fabre i neuroscienziati sono gli insetti stessi. Ad esempio, la celebre vespa scavatrice, le cui gesta orripilanti hanno lasciato tracce anche nei romanzi. Ecco come ne parla Massimiliano Parente nella Trilogia dell’inumano (La nave di Teseo): «(…) le vespe scavatrici non pungono la preda per ucciderla ma per paralizzarla, così da poter dare carne fresca alle loro larve, ha detto Korkenzieher. Le prede vengono mangiate vive. (…) è una regola generale che le larve possiedano un centro di innervazione per ciascun segmento. È così in particolare nel verme grigio, la vittima sacrificale dell’Ammophila. La vespa è a conoscenza di questo segreto anatomico: punge il bruco ripetutamente, da un capo all’altro, ganglio dopo ganglio».
La sapienza neurochirurgica della vespa Ammophila campestris descritta da Fabre ha dell’incredibile: l’insetto procede con tre iniezioni successive, una per ciascun ganglio nelle prede caratterizzate da tre gangli separati, ma con una iniezione solamente, nel ganglio encefalico, nelle specie in cui i gangli sono fusi assieme. La perizia richiesta per creare un Roboroach al confronto impallidisce.
Fabre appartiene alla genìa degli studiosi di scienze naturali capaci di scrivere in maniera incantevole. Contemporaneo di Darwin, era però ostile alla teoria dell’evoluzione perché riteneva che ciascuna specie fosse stata creata da Dio, con tutti i suoi comportamenti. Era anche convinto che l’intelligenza degli insetti fosse una pura manifestazione di istinti e perciò differente da quella degli esseri umani. Le sue osservazioni sul comportamento di un’altra vespa, del genere Sphex, hanno infatti contribuito a perpetuare tra i moderni studiosi di scienze cognitive l’idea della mancanza di un’intelligenza flessibile negli insetti.
Dopo averla paralizzata, la vespa Sphex trascina la sua preda, di solito un grillo, verso il nido perché funga da nutrimento per le proprie larve. Giunta in prossimità del nido la vespa lascia il grillo sulla soglia, entra e controlla che nella tana sia tutto in ordine, poi riemerge e trascina il grillo all’interno. Ed ecco le osservazioni di Fabre: mentre la vespa era nella tana impegnata a fare i suoi controlli, l’entomologo spostava il grillo un poco più indietro; la vespa riemergendo dalla tana prendeva il grillo lo riposizionava sulla soglia e tornava dentro di nuovo a controllare. Fabre provò a spostare il grillo fino a quaranta volte, ma ogni volta la vespa sembrava ignara di aver già effettuato il controllo e di poter trascinare la preda all’interno direttamente.
La storia è stata ripresa da vari studiosi di scienze cognitive e di intelligenza artificiale, tra cui Daniel Dennett e Douglas Hofstadter, il quale ultimo, autore del celebre Gödel, Escher Bach (Adelphi, 1990), ha introdotto il neologismo «sphexinità» per indicare l’assenza di intelligenza flessibile. La capacità di uscire dall’atteggiamento di «sphexinità» richiede un salto di livello, che sarebbe al di là dell’intelligenza rigida dell’insetto. Curiosamente, però, gli esseri umani non sono esenti da «sphexinità» proprio nelle forme più formalizzate del pensiero, come illustrato dalle varie storielle sui matematici che procedono riducendo ogni problema al caso precedente. Eccone un esempio. «Un ingegnere e un matematico devono mettere dell’acqua a bollire in due situazioni diverse. Caso 1: la pentola è vuota. L’ingegnere riempie la pentola e la mette sul fuoco, e il matematico fa altrettanto. Caso 2: la pentola è già piena. L’ingegnere la mette direttamente sul fuoco, il matematico la vuota e si riconduce al caso precedente».
In realtà pare che la storia della vespa Sphex non sia stata riportata in maniera accurata (si veda Keijzer F. (2013) Phil. Psychol., 26: 502519). Poche pagine dopo aver raccontato dei suoi tentativi con un singolo esemplare, lo stesso Fabre aveva notato che: «(…) lo sphex dalle ali gialle non sempre si fa ingannare dal trucco che consiste nel mettere il grillo fuori della sua portata. Fra gli sphex dalle ali gialle vi sono tribù d’eccezione, famiglie volitive, le quali, dopo qualche insuccesso, riconoscono le astuzie dello sperimentatore e riescono a sventarle». Egli aggiungeva, forse per rimarcare la distanza con la mente umana, che questi individui sarebbero comunque una minoranza. Ma due entomologi americani, George e Elizabeth Peckam, ripeterono il test con una specie americana di vespa scavatrice, la Sphex ichneumonea, che caccia cavallette, osservando che dopo soli quattro tentativi (molti meno, quindi, dei quaranta riferiti da Fabre) l’insetto portava all’interno della tana la sua preda senza procedere a ulteriori superflue ispezioni.
Le prove dell’intelligenza degli insetti si sono andate accumulando in questi ultimi anni. Un bel libro di Daniel Kariko (Vivono tra noi, Il Saggiatore, Milano, pagg. 176, € 23) ci fa osservare da vicino, con le sue fotografie, una varietà di specie. Tra queste immagini vi sono quelle delle vespe cartonaie. Questi insetti, si è visto, sono in grado di compiere inferenze transitive (se A è maggiore di B, e B è maggiore di C, allora A è maggiore di C). Altri insetti, come le api, sono capaci di cogliere una nozione pre-simbolica dello zero (si veda la Domenica del Sole 24 Ore del 12 agosto 2018) e possono generalizzare la nozione di maggiore/minore dal numero alla grandezza degli stimoli (quest’ultimo studio condotto da una giovane ricercatrice del mio laboratorio, Maria Bortot, è stato pubblicato poche settimane orsono sulla rivista scientifica «iScience» (Transfer from Number to Size Reveals Abstract Coding of Magnitude in Honeybees). I bombi, come ha mostrato Lars Chittka a Queen Mary University a Londra, possono generalizzare da forme osservate con la vista alle stesse forme percepite con il tatto (Bumble bees display crossmodal object recognition between visual and tactile senses, «Science»). Tutte queste capacità avrebbero costituito materia di riflessione per Fabre, se gli fossero state note. Immagino, comunque, che egli le avrebbe attribuite all’opera del buon Dio, riconducendo il problema al caso precedente.