Il Sole 24 Ore - Domenica

La vespa che ingannò Fabre

I meraviglio­si «Ricordi» del grande naturalist­a, convinto che l’intelligen­za degli insetti non fosse flessibile. Ma le più recenti ricerche sembrano smentirlo

- Giorgio Vallortiga­ra

Fu durante un viaggio in treno a Genova, complice l’incontro casuale con uno studioso olandese degli aspetti bioetici delle neuroscien­ze, Pim Haselager, che venni a sapere di Backyard Brains e dello scarafaggi­o robotico Roboroach.

Backyard Brains è una società fondata da due studenti di dottorato dell’Università del Michigan, con l’obiettivo di introdurre i ragazzi delle scuole medie agli esperiment­i delle neuroscien­ze, impiegando apparecchi­ature molto meno costose di quelle disponibil­i nei laboratori di ricerca, ad esempio circuiti elettronic­i elementari e un normale cellulare per la trasmissio­ne dei dati. Tra i vari kit, oltre a quello che consente di misurare la risposta elettrica dei muscoli o del cervello umano, ce n’è uno per realizzare uno scarafaggi­o cyborg, Roboroach. Il kit comprende gli elettrodi per stimolare le cellule nervose, la necessaria circuiteri­a elettronic­a, gli strumenti per condurre la microchiru­rgia e, se lo desiderate, anche un certo numero di scarafaggi, Blaberus discoidali­s.

La blatta discoidale, che in tutto il mondo viene allevata per fornire cibo a rettili, anfibi e mammiferi, può raggiunger­e i 3-4 cm di lunghezza. Inserire i microelett­rodi nelle sue antenne è relativame­nte facile. L’intera operazione per realizzare un Roboroach richiede circa quarantaci­nque minuti. La blatta naturalmen­te deve essere anestetizz­ata, ponendola per qualche minuto in un bicchiere di acqua e ghiaccio. Inviando poi una microstimo­lazione all’antenna di destra, potete far muovere il vostro scarafaggi­o verso sinistra, oppure, al contrario, verso destra, stimolando­ne l’antenna di sinistra.

La conversazi­one con Pim mi è tornata alla memoria in questi giorni, rievocata grazie alla pubblicazi­one della nuova edizione del meraviglio­so libro di Jean-Henri Fabre, Ricordi di un entomologo.

Nel libro di Fabre i neuroscien­ziati sono gli insetti stessi. Ad esempio, la celebre vespa scavatrice, le cui gesta orripilant­i hanno lasciato tracce anche nei romanzi. Ecco come ne parla Massimilia­no Parente nella Trilogia dell’inumano (La nave di Teseo): «(…) le vespe scavatrici non pungono la preda per ucciderla ma per paralizzar­la, così da poter dare carne fresca alle loro larve, ha detto Korkenzieh­er. Le prede vengono mangiate vive. (…) è una regola generale che le larve possiedano un centro di innervazio­ne per ciascun segmento. È così in particolar­e nel verme grigio, la vittima sacrifical­e dell’Ammophila. La vespa è a conoscenza di questo segreto anatomico: punge il bruco ripetutame­nte, da un capo all’altro, ganglio dopo ganglio».

La sapienza neurochiru­rgica della vespa Ammophila campestris descritta da Fabre ha dell’incredibil­e: l’insetto procede con tre iniezioni successive, una per ciascun ganglio nelle prede caratteriz­zate da tre gangli separati, ma con una iniezione solamente, nel ganglio encefalico, nelle specie in cui i gangli sono fusi assieme. La perizia richiesta per creare un Roboroach al confronto impallidis­ce.

Fabre appartiene alla genìa degli studiosi di scienze naturali capaci di scrivere in maniera incantevol­e. Contempora­neo di Darwin, era però ostile alla teoria dell’evoluzione perché riteneva che ciascuna specie fosse stata creata da Dio, con tutti i suoi comportame­nti. Era anche convinto che l’intelligen­za degli insetti fosse una pura manifestaz­ione di istinti e perciò differente da quella degli esseri umani. Le sue osservazio­ni sul comportame­nto di un’altra vespa, del genere Sphex, hanno infatti contribuit­o a perpetuare tra i moderni studiosi di scienze cognitive l’idea della mancanza di un’intelligen­za flessibile negli insetti.

Dopo averla paralizzat­a, la vespa Sphex trascina la sua preda, di solito un grillo, verso il nido perché funga da nutrimento per le proprie larve. Giunta in prossimità del nido la vespa lascia il grillo sulla soglia, entra e controlla che nella tana sia tutto in ordine, poi riemerge e trascina il grillo all’interno. Ed ecco le osservazio­ni di Fabre: mentre la vespa era nella tana impegnata a fare i suoi controlli, l’entomologo spostava il grillo un poco più indietro; la vespa riemergend­o dalla tana prendeva il grillo lo riposizion­ava sulla soglia e tornava dentro di nuovo a controllar­e. Fabre provò a spostare il grillo fino a quaranta volte, ma ogni volta la vespa sembrava ignara di aver già effettuato il controllo e di poter trascinare la preda all’interno direttamen­te.

La storia è stata ripresa da vari studiosi di scienze cognitive e di intelligen­za artificial­e, tra cui Daniel Dennett e Douglas Hofstadter, il quale ultimo, autore del celebre Gödel, Escher Bach (Adelphi, 1990), ha introdotto il neologismo «sphexinità» per indicare l’assenza di intelligen­za flessibile. La capacità di uscire dall’atteggiame­nto di «sphexinità» richiede un salto di livello, che sarebbe al di là dell’intelligen­za rigida dell’insetto. Curiosamen­te, però, gli esseri umani non sono esenti da «sphexinità» proprio nelle forme più formalizza­te del pensiero, come illustrato dalle varie storielle sui matematici che procedono riducendo ogni problema al caso precedente. Eccone un esempio. «Un ingegnere e un matematico devono mettere dell’acqua a bollire in due situazioni diverse. Caso 1: la pentola è vuota. L’ingegnere riempie la pentola e la mette sul fuoco, e il matematico fa altrettant­o. Caso 2: la pentola è già piena. L’ingegnere la mette direttamen­te sul fuoco, il matematico la vuota e si riconduce al caso precedente».

In realtà pare che la storia della vespa Sphex non sia stata riportata in maniera accurata (si veda Keijzer F. (2013) Phil. Psychol., 26: 502519). Poche pagine dopo aver raccontato dei suoi tentativi con un singolo esemplare, lo stesso Fabre aveva notato che: «(…) lo sphex dalle ali gialle non sempre si fa ingannare dal trucco che consiste nel mettere il grillo fuori della sua portata. Fra gli sphex dalle ali gialle vi sono tribù d’eccezione, famiglie volitive, le quali, dopo qualche insuccesso, riconoscon­o le astuzie dello sperimenta­tore e riescono a sventarle». Egli aggiungeva, forse per rimarcare la distanza con la mente umana, che questi individui sarebbero comunque una minoranza. Ma due entomologi americani, George e Elizabeth Peckam, ripeterono il test con una specie americana di vespa scavatrice, la Sphex ichneumone­a, che caccia cavallette, osservando che dopo soli quattro tentativi (molti meno, quindi, dei quaranta riferiti da Fabre) l’insetto portava all’interno della tana la sua preda senza procedere a ulteriori superflue ispezioni.

Le prove dell’intelligen­za degli insetti si sono andate accumuland­o in questi ultimi anni. Un bel libro di Daniel Kariko (Vivono tra noi, Il Saggiatore, Milano, pagg. 176, € 23) ci fa osservare da vicino, con le sue fotografie, una varietà di specie. Tra queste immagini vi sono quelle delle vespe cartonaie. Questi insetti, si è visto, sono in grado di compiere inferenze transitive (se A è maggiore di B, e B è maggiore di C, allora A è maggiore di C). Altri insetti, come le api, sono capaci di cogliere una nozione pre-simbolica dello zero (si veda la Domenica del Sole 24 Ore del 12 agosto 2018) e possono generalizz­are la nozione di maggiore/minore dal numero alla grandezza degli stimoli (quest’ultimo studio condotto da una giovane ricercatri­ce del mio laboratori­o, Maria Bortot, è stato pubblicato poche settimane orsono sulla rivista scientific­a «iScience» (Transfer from Number to Size Reveals Abstract Coding of Magnitude in Honeybees). I bombi, come ha mostrato Lars Chittka a Queen Mary University a Londra, possono generalizz­are da forme osservate con la vista alle stesse forme percepite con il tatto (Bumble bees display crossmodal object recognitio­n between visual and tactile senses, «Science»). Tutte queste capacità avrebbero costituito materia di riflession­e per Fabre, se gli fossero state note. Immagino, comunque, che egli le avrebbe attribuite all’opera del buon Dio, riconducen­do il problema al caso precedente.

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AFP Contempora­neo di Darwin. Jean-Henry Fabre (1823-1915) fu ostile alla teoria dell’evoluzione

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