Il Sole 24 Ore - Domenica

Rossellini in famiglia

Il film del nipote

- Roberto Escobar

«Oltre il mito, c’è una famiglia dalla storia intensa e anche dolorosa, proprio come tutte le altre», dice Alessandro Rossellini a proposito del suo The Rossellini­s. Lo si vedrà a Venezia, come evento speciale di chiusura della SIC, la Settimana internazio­nale della critica, questo documentar­io annunciato come una discesa quasi psicoanali­tica nella parte più in ombra dell’universo di affetti che ruotava e ancora ruota attorno all’autore di Roma città aperta (1945) e Paisà (1946), ma anche di un film all’apparenza tanto diverso come lo splendido La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966).

Figlio di Renzo Rossellini e di Katherine L. O’Brien, il cinquantac­inquenne Alessandro, il nipote più anziano di Roberto, è al suo primo lungometra­ggio, dopo i corti La Roma di Rossellini (2007) e Viva Ingrid!, entrambi dedicati ai “Rossellini­s”. E la s del plurale, all’inglese, non è qui un vezzo provincial­e. Al contrario, dà la misura dell’estensione della famiglia già in senso geografico. Dalla Roma degli anni Trenta al successo e all’apertura internazio­nale degli anni Quaranta e Cinquanta – in italiano so dire solo “ti amo”, ma se mi vuole sono pronta a girare un film con lei, gli scrive la bellissima Ingrid Bergman nel ’48 da Hollywood –, il grande Roberto non amò solo il cinema. Ne sono la prova tre mogli, l’ultima indiana, e un numero considerev­ole di nipoti e pronipoti oggi sparsi per il mondo. Questo è l’universo umano che Alessandro si appresta ad attraversa­re con il suo film.

Per dirla all’antica greca, The Rossellini­s potrebbe essere un nostos, un viaggio verso casa, un ritorno al tempo insieme dolce e amaro dell’inizio. Al centro di questo tempo che non c’è più sta un gigante, uno dei più grandi uomini di cinema del Novecento, ma anche un padre, un marito e un nonno che è sovrano assoluto, un sole che illumina chi gli ruota attorno, in qualche modo accecandol­o, o almeno impedendog­li di vedere i grigi e le ombre della vita. Per usare un’altra metafora, al centro sta una vetta, affascinan­te per la sua altezza lontana – che Alessandro chiama mito –, ma incombente su uomini, donne e bambini che forse avrebbero bisogno anche della rassicuran­te prevedibil­ità di una pianura, come dovrebbe accadere in ogni famiglia normale.

È difficile essere padre. Il grande Roberto lo fu, e anche con una immediatez­za materiale quasi materna. È noto quanto amasse stringere a sé, contro il suo corpo, figli e nipoti, come fa una scrofa con i piccoli (l’immagine è sua). Ma può capitare che sia ancora più difficile essere figli. Per parafrasar­e un motto di un filosofo profondo – si ripaga male un maestro, se si resta per sempre suoi allievi –, potremmo dire che si fa torto a un padre se non si smette di essere figli (o nipoti). D’altra parte, chi se non il maestro ha la responsabi­lità di insegnare all’allievo a tradirlo, a superarlo, così aiutandolo a ripagare il suo debito? Immaginiam­o che tutto questo sia stato ben presente ad Alessandro Rossellini mentre girava il suo nostos.

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«The Rossellini­s». Un’immagine del film di Alessandro Rossellini

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