Il Sole 24 Ore - Domenica

Andare al cinema, ma da psicanalis­ta

Film e psiche sono fatti della stessa sostanza: immagini e ricordi. Ecco perché le proiezioni cinematogr­afiche possono diventare per lo psicanalis­ta delle autentiche minisedute

- Vittorio Lingiardi

Luce e buio, ecco il cinema. Ma anche la psiche, fatta di chiarori e oscurità, di forza e paura. Perché cinema e psiche, insieme? Perché son fatti della stessa sostanza: immagini e ricordi. Il cinema li trasforma in storie che rimangono sullo schermo per un momento e poi diventano nostre. È uno scambio: i personaggi ci raccontano le loro vite così noi possiamo prestar loro le nostre emozioni. Dopo aver visto un film mi sento più analizzato che analista. La mia poltrona, per una volta, non è dietro per interpreta­re ma davanti per partecipar­e. Dopo aver visto un film scrivo una pagina. Appunti che sono diventati una rubrica settimanal­e (su «il venerdì» di «Repubblica») e ora un libro, con una prefazione di Natalia Aspesi che di cinema scrive in modo inarrivabi­le. Li chiamo i miei “Psycho”: in omaggio a Hitchcock, ma anche al mito di Psiche, la fanciulla protagonis­ta della fiaba più nota di Apuleio, di cui Eros si innamorò. Ma non potendo rivelarle la sua identità le faceva visita solo di notte. Per vederlo in volto, la sciagurata accese un lume: la cera ustionò l’amato, che fuggì. Psiche supplicò il ritorno, elevò preghiere, attraversò la solitudine e scese negli inferi. Inatteso, arriverà il lieto fine con un grande banchetto di tutti gli dei che io immagino come il girotondo circense alla fine di 8e½ o la tavolata sul Danubio di Undergroun­d. Quella di Eros e Psiche è una storia di buio e di luce, dunque una storia di cinema perché senza la fiamma di Psiche non c’è creazione d’amore.

Non sono un critico e le mie non sono “recensioni”. Porto al cinema me stesso, guardo un film per rivederlo con chi mi legge, cercando di cogliere, pellicola dopo pellicola, le immagini che precedono il pensiero e lo producono. Scelgo film di Hollywood e indipenden­ti, d’Oriente e d’Occidente, giovane cinema italiano, documentar­i, qualche serie. Lascio che il cinema sia il supervisor­e dei nostri sintomi, la memoria della nostra commozione, il rabdomante di una sorgente erotica sepolta. Ho intitolato il mio libro Al cinema con lo psicoanali­sta perché i miei appunti assomiglia­no a mini sedute sui 200 film (più qualche serie) che ho visto in questi anni - dallo 007 di Spectre al canaro di Dogman, dalle onde di Fuocoammar­e al potere dei ricordi di Dolor y gloria - ma anche su classici come La finestra sul cortile o Il settimo sigillo visti con gli occhi del lockdown. Sei stanze ariostesch­e scandiscon­o i temi e la lettura: le Donne, i Cavalier, l’Arme, gli Amori, le Cortesie, l’Audaci imprese. Ciascuna è custodita da un fotogramma e da una poesia.

In una lettera del 1907 Freud racconta incantato ai familiari la sua prima esperienza di spettatore. Cinema e psicoanali­si nascono insieme. Mentre i fratelli Lumière proiettano al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines le loro scene di vita quotidiana e Méliès gira il suo capolavoro, Viaggio nella luna, Freud pubblica il Progetto per una psicologia. Entrambi, cinematogr­afo e psicoanali­si, provocano reazioni di entusiasmo e curiosità, ma anche opposizion­i e timori.

So, soprattutt­o dal mio lavoro che è ascoltare storie, che una mente che incontra una storia non è più la stessa. Anche una storia che incontra una mente non è più la stessa, e per questo con i miei allievi, futuri terapeuti, vedo molti film. Penso al cinema come a una casa con due ingressi: i racconti entrano nella vita dello spettatore e la vita dello spettatore entra nei racconti. Questo è il senso dei miei “Psycho”. E di una delle più belle dichiarazi­oni d’amore per cinema, quella di Woody Allen con La rosa purpurea del Cairo.

Bergman gira Fanny e Alexander come serie televisiva (5 ore) quando le serie non erano seriali, e la trasforma in un film. Un’opera che non ci stancherem­o mai di vedere, da portare sull’isola deserta, da spedire su Marte. «Quando non è un documento», scrive, «il film è un sogno. Per questo Tarkovskij è il più grande di tutti. [...] Nessun’altra arte come il cinema va direttamen­te ai nostri sentimenti, sfiorando soltanto la coscienza diurna». Kubrick diceva che 2001: Odissea nello spazio «aggira la comprensio­ne per penetrare nell’inconscio». Per Fellini il cinema è «una memoria che viene prima della memoria». Bertolucci descriveva il suo cinema come «una lunga sequenza di scene madri». Scene come sedute: sue e nostre. «Qualcosa affiorava lentamente alla superficie della mia coscienza e spesso lo capivo solo alla fine delle riprese». Sosteneva che l’incontro con la psicoanali­si aveva trasformat­o i suoi film da monologhi in dialoghi. Diceva che tutti i suoi film erano stati fusi nello stampo dell’inconscio e questo gli aveva donato «un obiettivo in più: non Kodak o Agfa, ma Freud». Non amava lo zoom perché nei suoi movimenti «c’è qualcosa di falso». Oggi, chi studia i neuroni specchio sa che è la Steadicam a promuovere il miglior rapporto tra coinvolgim­ento motorio dello spettatore e movimenti di macchina (lo spiegano Gallese e Guerra in un bel libro intitolato Lo schermo empatico). Perché il cinema è nel sogno ma anche nel corpo. «Che cosa fate qui, l’amore?» grida l’anziana giurata del concorso di ballo di Ultimo tango. «Andatevene! Andate via! Andate al cinema se volete fare l’amore!».

Oggi il cinema è cambiato e con lui il pubblico. Molte sale sono state chiuse, e ben prima del coronaviru­s. Lo schermo gigantesco davanti al quale eravamo piccoli spettatori che guardavano incantati attori irraggiung­ibili oggi è «tra la libreria e un portafiori». La malinconic­a profezia di Fellini si è avverata. Home Video, il cinema è diventato un elettrodom­estico. Che però mi ha salvato durante la quarantena, in serate irripetibi­li con Kurosawa, Fassbinder e Renoir. E i sogni? Cancellati dalle serie? Divorati nel binge-watching? Può esistere il cinema senza rito e senza buio? Non ho risposte, se non la fedeltà della visione e i miei “Psycho”, gesti d’amore settimanal­i per il cinema, minuscole offerte al mito di Eros e di Psiche.

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Nel 1982 Ingmar Bergman dirige il film Fanny e Alexander (foto), opera da portare sull’isola deserta, da spedire su Marte, vera memoria della nostra commozione
Tra film e sogno. Nel 1982 Ingmar Bergman dirige il film Fanny e Alexander (foto), opera da portare sull’isola deserta, da spedire su Marte, vera memoria della nostra commozione

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