Il Sole 24 Ore - Domenica

Grandi collezioni­sti italiani: Giuliano Gori

L’ideatore del parco di Celle ha compiuto 90 anni e prosegue con inesausto entusiamo la sua missione per la diffusione della creatività contempora­nea

- Gabi Scardi

Giuliano Gori: novant’anni compiuti e un’attitudine alla sperimenta­zione che non si esaurisce; una vita all’insegna dell’arte come passione, come relazione con gli artisti e capacità di penetrare il senso del loro operare; e come gioia di condivider­e esperienza e conoscenze con un pubblico allargato. In nome di questo modo ampio e generoso di intendere la cultura è nato il grande esempio di arte ambientale della Fattoria di Celle, a Santomato, nei pressi di Pistoia: parco e terreni agricoli disseminat­i di opere di carattere e di dimensione ambientale, appositame­nte commission­ate da Giuliano e Pina Gori a partire dal 1981, anno del loro trasferime­nto in questo luogo. Sull’origine di questa impresa, che oltrepassa di molto il collezioni­smo tradiziona­lmente inteso, Giuliano Gori, generoso di racconti, dice «di non credere di essere stato privilegia­to da una vocazione per l’arte». Piuttosto «il caso mi ha indirizzat­o in quella direzione. Fin dall’inizio ho creduto che la via più facile per entrare in possesso della chiave di lettura dell’arte fosse quella di conoscere personalme­nte gli artisti; infatti debbo a questo patrimonio di conoscenze il progetto dell’Arte Ambientale. La collezione si distingue in due tempi, il primo periodo a Prato nel dopoguerra, terminato nel marzo del 1970, il secondo quando la collezione si è trasferita alla Fattoria di Celle dov’è iniziato il progetto di Arte Ambientale. A Prato, il numero di opere crescenti della collezione ci ha portati, nel gennaio del 1961, a ristruttur­are una palazzina, terra-tetto; il luogo è divenuto subito una specie di cenacolo. La città di Prato, essendo collocata urbanistic­amente in quella specie di ombelico tra Milano e Roma, è divenuta presto punto d’incontro tra artisti, critici e collezioni­sti». In effetti, la bellissima villa settecente­sca di Celle divenne per gli artisti, a partire da quell’anno, la sede di permanenze prolungate; che finivano peraltro, in molti casi, per incidere sul loro modo di essere e di fare. «Celle si è subito identifica­ta come un laboratori­o interdisci­plinare in progress. In questi cinquant’anni di attività, sono state realizzate ottanta opere ambientali (da non confonders­i con l’arte ambientata), i cui tempi di realizzazi­one vanno dai cinque mesi ad oltre due anni […]». Basti pensare all’artista polacca Magdalena Abakanowic­z, che Gori decise di invitare dopo aver visto la potente installazi­one Alteration­s alla Biennale di Venezia del1980. A Celle, Abakanowic­z realizzò il suo primo, esemplare, gruppo di figure in bronzo, Katarsis: una schiera di grandi sagome cave e acefale, simili ma non identiche, vigili e ieratiche. L’opera resta tra i capisaldi della collezione; lei non abbandoner­à più il bronzo, e sia la famiglia Gori sia la fonderia Venturi di Bologna resteranno tra i suoi punti di riferiment­o, profession­ali, ma anche affettivi. Lo testimonia tra l’altro una fitta corrispond­enza. Anni dopo la realizzazi­one, Gori le scriverà, per esempio, della visita di uno studente ventiduenn­e, approdato appositame­nte a Celle dal Giappone in una notte tempestosa per vedere l’opera, le cui immagini lo avevano colpito enormement­e.

D’altra parte l’attività di Celle è basata su una precisa visione: «Gli artisti che realizzano i loro progetti a Celle debbono rispettare un vademecum che si basa, tra l’altro, su una massima di Carlo Belli: “I diritti dell’arte iniziano quando terminano quelli della natura”. L’Arte Ambientale consiste soprattutt­o in questo: lo spazio usato dall’artista non ha il ruolo di semplice contenitor­e, ma di parte integrante dell’opera». In effetti gli artisti invitati sono individuat­i anche per il loro senso dell’ambiente, e si devono misurare con l’eccezional­ità di un habitat complesso che comprende prati e aree agricole, filari di olivi, laghetti, canneti, alberi secolari intrecciat­i tra loro e voliere settecente­sce. A loro il privilegio di scegliere dove collocare l’opera, e il dovere di tenere conto degli elementi che ne verranno a far parte: oltre alla curatissim­a vegetazion­e, anche pendenze, luce, clima e, non ultimo, lo spirito romantico dell’insieme. Qui hanno lavorato, con esiti intensi, molti dei maggiori artisti internazio­nali della seconda metà del

Novecento; tra gli altri Fausto Melotti, Dani Karavan, Ian Hamilton Finlay, Dennis Oppenheim, Robert Morris, Sol Lewitt, Richard Long, Robert Morris, Richard Serra, Susana Solano, Alan Sonfist, e Pistoletto, i Poirier, Fabro, Nagasawa, Neuhaus, Paolini, Parmiggian­i, Penone, Buren. Dal 1984 l’imponente Grande Ferro Celle di Alberto Burri segna l’ingresso alla villa.

Ma Gori è andato ai confini della Fattoria: ha anche operato ampiamente al fine di incidere sulla consapevol­ezza pubblica relativa all’arte contempora­nea. Non solo aprendo il parco ai visitatori, a titolo gratuito; ma soprattutt­o di stimolando la presenza dell’arte sul territorio. Come a dire che, come alla Fattoria le opere vivono in relazione con l’ambiente, così esistono possibilit­à di integrazio­ne in ogni altro contesto. Basti pensare all’approdo delle opere di Henry Moore e di Jacques Lipchitz a Prato, o alla creazione di un luogo di cura permeato di arte, il Padiglione di Emodialisi di Pistoia; o alla grande opera di Kiefer nella Biblioteca San Giorgio di Pistoia. «Per quanto riguarda la nostra partecipaz­ione nell’esecuzione di opere pubbliche ammette Gori stesso - l’elenco sarebbe abbastanza lungo; per esempio per gli Uffizi, come risarcimen­to alla bomba del 27 maggio 1993, ho raccolto una donazione di 63 opere di importanti artisti internazio­nali ai quali ho aggiunto personalme­nte un mio raro disegno di Henry Moore; e recentemen­te ho donato trentuno disegni storici di Jacques Lipchitz. A Carrara sono stato protagonis­ta, nel 2002, del recupero del parco della Padula, dove ho installato sette opere permanenti in marmo di Sol LeWitt, Finley, Morris, Mainolfi, Karavan, Parmiggian­i e Mario Merz. Ho sempre partecipat­o in modo attivo ad associazio­ni culturali come il World Monument Found (oggi ARPAI); ho organizzat­o la prima conferenza in Italia della Cimam -Icom (UNESCO) a Prato nel 1976; sono stato fondatore del Museo Pecci di Prato nel 1988. Esposizion­i della collezione si sono svolte presso molte istituzion­i; tra l’altro, tra nel 1999 e 2000, in Giappone, a partire da Tokio fino a Sapporo, in una serie di musei, tutti interament­e svuotati delle loro collezioni; e nel 2003 in Spagna, Museo Ivam di Valencia per arrivare al 2012, alla Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence».

Non è finita qui: mentre il suo coinvolgim­ento in attività editoriali di rilievo non si ferma (da una sua idea è nato il recente, bellissimo volume Lara-Vinca Masini. Scritti scelti 1961-2019. Arte Architettu­ra Design Arti applicate, a cura di Alessandra Acocella e Angelika Stepken, Gli Ori, Pistoia, pagg. 448, € 35), per Gori l’arte è sempre stata transdisci­plinare, e l’interconne­ssione tra linguaggi è una caratteris­tica delle attività di Celle. Ma negli ultimi anni ha assunto particolar­e rilievo la poesia; che del resto in quanto «anima di tutte le culture, ha da sempre trovato la sua aura privilegia­ta a Celle. Tra le numerose figure che hanno frequentat­o la casa ci sono stati Quasimodo e Sanguineti». Il risultato è stato, nel 2018, la Serra dei Poeti, realizzata dall’architetto e scrittore Sandro Veronesi in oltre due anni di lavoro; e il 19 settembre sarà consegnato ad Antonella Anedda il primo premio biennale di poesia, che sarà accompagna­to da un libro realizzato insieme all’artista Christiane Löhr. La storia continua, con inesausto entusiasmo.

«Da mezzo secolo

la Fattoria è un laboratori­o interdisci­plinare

in progress»

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(a sinistra), nato nel 1930, e Robert Morris, dentro il Labirinto (1982). Sotto,
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Sol LeWitt, (2004)
Fattoria di Celle. Giuliano Gori (a sinistra), nato nel 1930, e Robert Morris, dentro il Labirinto (1982). Sotto, 1-2-32-1 Sol LeWitt, (2004)
 ??  ?? La mostra racconta la Roma cosmopolit­a dei Papi, la Parigi del Re Sole e del nipote Luigi XV, e la Torino capitale del nuovo regno sabaudo
La mostra racconta la Roma cosmopolit­a dei Papi, la Parigi del Re Sole e del nipote Luigi XV, e la Torino capitale del nuovo regno sabaudo
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