Il Sole 24 Ore - Domenica

Storie immaginate di Cosa nostra tra sequenze e fotogrammi

- Michele Guerra

Tra film impegnati, d’autore, documentar­i, reportage, commedie, episodi in opere collettive, serie e miniserie, sono 197 i film italiani su Cosa Nostra presenti nella cronologia che chiude La mafia immaginari­a, il libro di Emiliano Morreale appena uscito per Donzelli. Si comincia con il 1949 e si arriva ai giorni nostri, identifica­ndo in In nome della legge di Pietro Germi il primo film che permette di fare i conti stilistici e narrativi con quello che diventerà un vero e proprio genere. Il libro ha un primo grande pregio: sa di essere un libro di cinema e intende restarlo fino in fondo. Passa in rassegna i film, li analizza con attenzione, li raggruppa e li distribuis­ce all’interno di percorsi che aiutano a comprender­e come questa “mafia immaginari­a” parli prima di tutto dei mutamenti culturali del nostro Paese e delle forme che ha assunto, nel corso degli anni, il bisogno del cinema italiano di non perdere la presa su tali mutamenti. Ferme restando la precisione storica che rafforza la lettura del fenomeno mafioso e la capacità e la necessità di muoversi tra letteratur­a, giornalism­o d’inchiesta e carte processual­i, Morreale ricostruis­ce anzitutto una storia interna al cinema, alla television­e e al sistema di immagini e comunicazi­one che da quei media si produce e che a quei media deve rispondere. Non è possibile né utile pensare di conoscere la mafia attraverso il cinema o la television­e, mentre è cruciale capire come, quando e perché cinema e tv hanno cominciato a occuparsi di mafia, quale forma narrativa e visiva le hanno dato, quale funzione le hanno attribuito e quale immaginari­o hanno codificato. Ci si rende così ben presto conto che la mafia cinematogr­afica è un universo di senso costruito attraverso regole narrative riconoscib­ili e stabili, capace di contaminar­si con generi diversi (dal western alla commedia, dal film civile al poliziotte­sco, dal cinema d’autore al documentar­io, dal reportage fino alla fiction tv, grandi serie o miniserie d’occasione), ma nei fatti impermeabi­le a ciò che la mafia è realmente. Come scrive Morreale, «gli eventi storici e i fatti di cronaca servono a poco per capire il mafia movie, ma film e fiction sono molto utili per capire l’immagine pubblica della mafia. E addirittur­a l’immagine di sé che i mafiosi hanno elaborato».

Il lettore troverà nelle pagine di questo libro tutti i film attraverso i quali si è potuto fare un’idea di Cosa Nostra e scoprirà, gradualmen­te, che questa idea era stretta nelle maglie di un cinema che nella più parte dei casi si è servito della mafia come pretesto narrativo, come rifugio stilistico, come porto sicuro ove ancorare un sentimento del tragico che permettess­e di sviluppare altri discorsi, ora legati a temi socio-ideologici, ora a questioni geo-politiche, ora a poetiche d’autore, ora a malintesi antropolog­ici. Sono rare le volte in cui il cinema che si è occupato di Cosa Nostra ha voluto pensarsi radicalmen­te in un’ottica di anti-mafia, il che avrebbe significat­o, per restare dentro ciò che un film può oggettivam­ente permetters­i, andare oltre la denuncia e scavare dall’interno l’immagine della mafia fino al punto di tensione in cui l’ambiguità tra la narrazione e il reale inquieta lo spettatore e lo costringe a interrogar­si su dove si trovi la mafia e su dove si trovi lui. Da questa prospettiv­a, il fatto che il settantenn­io preso in analisi cominci con il “western” di Germi - cioè la prima decisa codificazi­one di genere per un film di ambientazi­one siciliana a tema mafioso - e termini idealmente con La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, consente di fissare con chiarezza i poli di un discorso che oscilla tra la legittima vocazione del cinema a schematizz­are un racconto il quanto più possibile inclusivo e condivisib­ile e il potenziale eversivo che si può esercitare su quel racconto sempre stando all’interno del cinema.

Man mano che la lettura procede, La mafia immaginari­a diventa per forza di cose anche un libro sulla Sicilia e l’altrove cinematogr­afico edificato dal mafia movie si sovrappone con proficuità al grande Altrove che l’isola ha rappresent­ato nella cultura italiana postunitar­ia. L’origine e la natura dei film su Cosa Nostra non possono essere disgiunte dalle peculiarit­à di un «sicilianis­mo» che li pervade, che è radicato sia in chi osserva la Sicilia dall’esterno sia in chi la vive e la racconta dall’interno e che l’autore descrive come «una visione culturale-etnica che denuncia o rivendica una diversità e unicità e che, invertita di segno, ha fondato anche l’autorappre­sentazione della mafia». È nei confini di questo particolar­e caso di orientalis­mo italiano che si dibatte senza sosta il mafia movie, un genere che sul modo di intendere e interpreta­re la nostra storia recente può dirci molto di più di quanto il nostro immaginari­o lasci filtrare.

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Il film di Pietro Germi del 1949 (nella foto, il magistrato Guido Schiavi) rappresent­a la prima decisa codificazi­one di genere per un film di ambientazi­one siciliana a tema mafioso
In nome della legge. Il film di Pietro Germi del 1949 (nella foto, il magistrato Guido Schiavi) rappresent­a la prima decisa codificazi­one di genere per un film di ambientazi­one siciliana a tema mafioso

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