Se la scrittrice adora la matematica
Una disciplina che insegna una salutare ridiscussione
C’è una frase di Erwin Panofsky («L’umanista contesta l’autorità ma rispetta la tradizione») che ci si aspetterebbe di leggere nel brioso pamphlet di Chiara Valerio La matematica è politica, un libro che si premura di citare Leibniz e Benjamin (accanto a Batman e a Lady Oscar, ciò che Benjamin forse non avrebbe apprezzato, non essendo in fin dei conti necessario). La si aspetterebbe perché una delle idee centrali del libro potrebbe riassumersi in una formula molto simile, come «il matematico contesta l’autorità ma rispetta le regole». Obiettivo dell’autrice, laureata e addottorata in matematica prima di approdare all’editoria nella duplice veste di affermata scrittrice e di lettrice professionale (cioè editor), è sottolineare il valore civile della formazione matematica, la sua funzione di ginnastica posturale del cervello capace di sviluppare un’attitudine all’antidogmatismo, alla capacità critica e in definitiva all’esercizio della rivoluzione intesa come salutare processo di ridiscussione delle forme del vivere civile.
Lamatematicaèquiintesacomeattivitàspeculativabasatasuragionamento deduttivo,astrazioneevisioneproporzionale della realtà: una visione in sé convenzionale, ma innovativa in certe formulazioni, per certe prospettive e persino per alcuni caratteristici difetti.
Il libro mostra che – a dispetto della turpe retorica che frulla nello stesso indigeribile polpettone i concetti di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica: è l’esecrabile feticcio della STEM education – la matematica va annessa senza esitazione alle discipline che, richiedendo un’applicazione intellettuale lenta, riflessiva e tendenzialmente disinteressata all’utilità pratica e immediata dei risultati, sono oggi seriamente minacciate da un imperante e miope utilitarismo. Una parte cospicua della matematica (come minimo tutta quella che rinuncia a descrivere il mondo e si rivolge piuttosto a organizzare il pensiero: divertenti le pagine sulla riflessione intorno al quinto postulato di Euclide) è esposta alla famigerata domanda che incombe oggi su tante discipline: «a che cosa serve?». La risposta di Valerio è la stessa che un giorno ebbe a dare alla domanda «a che serve studiare?», e si basa su un gioco di parole concettualmente efficace: «studiare matematica non serve, comanda». Perché è in sé un esercizio di libertà. Tra le ragioni per cui la matematica è spesso invisa o considerata con fastidio nelle aule di scuola, e talora persino in quelle universitarie, v’è che il suo studio porta a risultati non necessariamente monetizzabili (o misurabili sulla bilancia), ciò che la rende ostica per chiunque non concepisca altri sforzi degni di essere affrontati se non quelli intesi a guadagnare soldi o a perdere chili (all’uno e all’altro fine invero la matematica può anche servire, ma non è per questo che tanta parte di essa è stata elaborata dai tempi di Pitagora). Studiare matematica, suggerisce Valerio, non richiede alcuna particolare inclinazione alla genialità («Non è vero che per studiare matematica bisogna essere portati. Per studiare matematica, come per il resto e più del resto, bisogna solo studiare»): essa pretende semplicemente pazienza, applicazione, fatica e tanto, tanto esercizio.
Il libro demistifica molti luoghi comuni ancora oggi radicati. Ma intende anche – ed è l’obiettivo più apertamente perseguito – istituire un legame diretto fra i requisiti tipici di chi studia e capisce la matematica e quelli del cittadino democratico. Lungi dall’abituare ad un’obbedienza prona e passiva all’imposizione autoritaria, la matematica ha il naturale effetto di avvezzare alla verifica, di non far rinunciare all’incertezza (pur misurandola) pur rifuggendo le ambiguità. In questo senso, secondo Chiara Valerio, La matematica è politica, e volentieri le si dà ragione leggendo la difesa dei valori di libertà, democrazia, rispetto del prossimo e delle regole del vivere civile che accompagnano la sua storia. Certo, considerazioni simili valgono anche per altre discipline apparentemente remote dall’agone politico, ed è facile obiettare che fra i peggiori nemici della democrazia sarà pur esistito qualche gerarca che all’università ha dato con successo Analisi 1 e Analisi 2 (chi scrive ha ricevuto la stessa obiezione a proposito della filologia, ma è un’osservazione debole, pretestuosa). I difetti, veniali, stanno altrove: ad esempio, dove l’ammirevole passione civile induce l’autrice ad allusioni, citazioni, nomi e cognomi troppo ancorati alla cronaca italiana d’oggi, che risulteranno oscure e superflue (a differenza di tutto il resto) a un lettore australiano anche colto del 3000 d.C., e che già oggi lo sono solo a poche leghe di distanza dalle spiagge di Rimini. Altra cosa sono i molti riferimenti al contesto della pandemia: molti libri degli ultimi mesi ne sono comprensibilmente pieni, e si tratta d’un tipo d’incrostazione che varrà a testimoniare un’epoca, un passaggio cruciale. L’urgenza di dialogare senza filtri con l’attualità più spicciola, anche con quella che avremo presto – sperabilmente, almeno – dimenticato, è un portato di certi tic presentisti degli scrittori della sua generazione: un mal comune, insomma. Ben più apprezzabile il fatto che Chiara Valerio non indulga ad altri vezzi della scrittura odierna, dimostrando, da donna che ha studiato (bene) la matematica, di non aver nulla da dover dimostrare: «Aver studiato matematica e lavorare in un ambiente letterario e culturale che ritiene (…) la matematica una disciplina per illuminati, predisposti e geni, mi ha facilitato la vita. Come donna inoltre, ho avuto un trattamento diverso da altre donne che lavorano in questo stesso ambiente perché, avendo fatto matematica, è indubbio che sia almeno intelligente».