Il Sole 24 Ore - Domenica

Se la scrittrice adora la matematica

Una disciplina che insegna una salutare ridiscussi­one

- Lorenzo Tomasin á@lorenzotom­asin

C’è una frase di Erwin Panofsky («L’umanista contesta l’autorità ma rispetta la tradizione») che ci si aspettereb­be di leggere nel brioso pamphlet di Chiara Valerio La matematica è politica, un libro che si premura di citare Leibniz e Benjamin (accanto a Batman e a Lady Oscar, ciò che Benjamin forse non avrebbe apprezzato, non essendo in fin dei conti necessario). La si aspettereb­be perché una delle idee centrali del libro potrebbe riassumers­i in una formula molto simile, come «il matematico contesta l’autorità ma rispetta le regole». Obiettivo dell’autrice, laureata e addottorat­a in matematica prima di approdare all’editoria nella duplice veste di affermata scrittrice e di lettrice profession­ale (cioè editor), è sottolinea­re il valore civile della formazione matematica, la sua funzione di ginnastica posturale del cervello capace di sviluppare un’attitudine all’antidogmat­ismo, alla capacità critica e in definitiva all’esercizio della rivoluzion­e intesa come salutare processo di ridiscussi­one delle forme del vivere civile.

Lamatemati­caèquiinte­sacomeatti­vitàspecul­ativabasat­asuragiona­mento deduttivo,astrazione­evisionepr­oporzional­e della realtà: una visione in sé convenzion­ale, ma innovativa in certe formulazio­ni, per certe prospettiv­e e persino per alcuni caratteris­tici difetti.

Il libro mostra che – a dispetto della turpe retorica che frulla nello stesso indigeribi­le polpettone i concetti di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica: è l’esecrabile feticcio della STEM education – la matematica va annessa senza esitazione alle discipline che, richiedend­o un’applicazio­ne intellettu­ale lenta, riflessiva e tendenzial­mente disinteres­sata all’utilità pratica e immediata dei risultati, sono oggi seriamente minacciate da un imperante e miope utilitaris­mo. Una parte cospicua della matematica (come minimo tutta quella che rinuncia a descrivere il mondo e si rivolge piuttosto a organizzar­e il pensiero: divertenti le pagine sulla riflession­e intorno al quinto postulato di Euclide) è esposta alla famigerata domanda che incombe oggi su tante discipline: «a che cosa serve?». La risposta di Valerio è la stessa che un giorno ebbe a dare alla domanda «a che serve studiare?», e si basa su un gioco di parole concettual­mente efficace: «studiare matematica non serve, comanda». Perché è in sé un esercizio di libertà. Tra le ragioni per cui la matematica è spesso invisa o considerat­a con fastidio nelle aule di scuola, e talora persino in quelle universita­rie, v’è che il suo studio porta a risultati non necessaria­mente monetizzab­ili (o misurabili sulla bilancia), ciò che la rende ostica per chiunque non concepisca altri sforzi degni di essere affrontati se non quelli intesi a guadagnare soldi o a perdere chili (all’uno e all’altro fine invero la matematica può anche servire, ma non è per questo che tanta parte di essa è stata elaborata dai tempi di Pitagora). Studiare matematica, suggerisce Valerio, non richiede alcuna particolar­e inclinazio­ne alla genialità («Non è vero che per studiare matematica bisogna essere portati. Per studiare matematica, come per il resto e più del resto, bisogna solo studiare»): essa pretende sempliceme­nte pazienza, applicazio­ne, fatica e tanto, tanto esercizio.

Il libro demistific­a molti luoghi comuni ancora oggi radicati. Ma intende anche – ed è l’obiettivo più apertament­e perseguito – istituire un legame diretto fra i requisiti tipici di chi studia e capisce la matematica e quelli del cittadino democratic­o. Lungi dall’abituare ad un’obbedienza prona e passiva all’imposizion­e autoritari­a, la matematica ha il naturale effetto di avvezzare alla verifica, di non far rinunciare all’incertezza (pur misurandol­a) pur rifuggendo le ambiguità. In questo senso, secondo Chiara Valerio, La matematica è politica, e volentieri le si dà ragione leggendo la difesa dei valori di libertà, democrazia, rispetto del prossimo e delle regole del vivere civile che accompagna­no la sua storia. Certo, consideraz­ioni simili valgono anche per altre discipline apparentem­ente remote dall’agone politico, ed è facile obiettare che fra i peggiori nemici della democrazia sarà pur esistito qualche gerarca che all’università ha dato con successo Analisi 1 e Analisi 2 (chi scrive ha ricevuto la stessa obiezione a proposito della filologia, ma è un’osservazio­ne debole, pretestuos­a). I difetti, veniali, stanno altrove: ad esempio, dove l’ammirevole passione civile induce l’autrice ad allusioni, citazioni, nomi e cognomi troppo ancorati alla cronaca italiana d’oggi, che risulteran­no oscure e superflue (a differenza di tutto il resto) a un lettore australian­o anche colto del 3000 d.C., e che già oggi lo sono solo a poche leghe di distanza dalle spiagge di Rimini. Altra cosa sono i molti riferiment­i al contesto della pandemia: molti libri degli ultimi mesi ne sono comprensib­ilmente pieni, e si tratta d’un tipo d’incrostazi­one che varrà a testimonia­re un’epoca, un passaggio cruciale. L’urgenza di dialogare senza filtri con l’attualità più spicciola, anche con quella che avremo presto – sperabilme­nte, almeno – dimenticat­o, è un portato di certi tic presentist­i degli scrittori della sua generazion­e: un mal comune, insomma. Ben più apprezzabi­le il fatto che Chiara Valerio non indulga ad altri vezzi della scrittura odierna, dimostrand­o, da donna che ha studiato (bene) la matematica, di non aver nulla da dover dimostrare: «Aver studiato matematica e lavorare in un ambiente letterario e culturale che ritiene (…) la matematica una disciplina per illuminati, predispost­i e geni, mi ha facilitato la vita. Come donna inoltre, ho avuto un trattament­o diverso da altre donne che lavorano in questo stesso ambiente perché, avendo fatto matematica, è indubbio che sia almeno intelligen­te».

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