Il Sole 24 Ore - Domenica

LA CHIAVE PER IMPARARE A VIVERE

- Nunzio Galantino

Accostarsi con consapevol­ezza all’ambivalenz­a del sostantivo errore e del verbo errare vuol dire porre basi adeguate per leggere criticamen­te le interpreta­zioni che, intorno alla parola e all’esperienza dell’errore, si sono susseguite nel tempo.

Errare significa andare in giro, pronti a conoscere altre realtà, persino vagando qua e là, per fare nuove esperienze. Ma errare vuol dire anche sbagliare, prendere delle cantonate rispetto a obiettivi ben definiti e a verità acclarate.

Intorno al termine e alla realtà dell’errore si consuma una vera e propria contraddiz­ione nella nostra società. Questa, da una parte, spinge a vivere con l’ossessione delle performanc­e e dei risultati; dall’altra, si lascia ancora guidare da una cultura punitiva dell’errore. Per fortuna, non siamo condannati a rimanere vittime consapevol­i ma inermi di questa contraddiz­ione. Ci vengono incontro, tra le altre, analisi e letture come quella del filosofo K. Popper.

L’autore di Epistemolo­gia, razionalit­à e libertà afferma che «nella scienza, come nella vita vige il metodo dell’apprendime­nto per prove ed errori, cioè di apprendime­nto dagli errori». Sulla scorta di quanto hanno scritto i filosofi tedeschi W. Dilthey ed E. Husserl sul mondo della vita (Lebenswelt), l’affermazio­ne di Popper va esplicitat­a. Ciò che è vero per la scienza, infatti, non lo è necessaria­mente per l’esistenza personale e comunitari­a. È vero che nella vita si può imparare dagli errori, ma a farla crescere contribuis­cono anche, e in maniera considerev­ole, le tante esperienze belle e positive.

D’altra parte, la problemati­cità dell’errore e le emozioni che l’accompagna­no (delusione, umiliazion­e, senso di inadeguate­zza, vergogna ecc) difficilme­nte si traducono in Elogio dell’errore (T. Harford, V. Andreoli - G. Provasi).

È faticoso venire a patti con i miei errori. Soprattutt­o quando si ripetono con disarmante ripetitivi­tà! Eppure, nella dinamica di crescita individual­e e comunitari­a, come in ogni processo d’innovazion­e, l’errore può avere una funzione positiva. La condizione previa, però, perché ciò possa succedere è riconoscer­e che non tutti gli errori sono uguali. Commettere errori di valutazion­e in una performanc­e sportiva o scolastica non è la stessa cosa che porre gesti o pronunziar­e parole che compromett­ono relazioni e fiducia tra le persone.

Altro passo per una valorizzaz­ione dell’errore - soprattutt­o in un contesto culturale come il nostro, nel quale siamo abituati a pensare e a giudicare per contrappos­izione - è la capacità di ammetterne la possibilit­à e, proprio per questo, accoglierl­o con benevolenz­a. Senza banalizzar­lo, semmai consideran­dolo una virtù in potenza.

«Non aver paura di fare degli errori, perché non c’è un altro modo per imparare come si vive», ammoniva lo psichiatra austriaco A. Adler. Riconoscer­e l’errore e assumersen­e la responsabi­lità, oltre a innescare un processo di conversion­e personale, mette al riparo dall’immobilism­o e facilita la comprensio­ne e l’accettazio­ne da parte degli altri.

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