Il Sole 24 Ore - Domenica

Donne forti per il Leone

«Miss Marx» di Nicchiarel­li e «Quo vadis, Aida?» di Jasmila Žbanić potrebbero puntare al palmares. Si ride con «The duke» e «Mandiboule­s» in una Mostra prudente

- Cristina Battoclett­i

L’Eleanor Marx, figlia del padre del Capitale e protagonis­ta del film di Susanna Nicchiarel­li, nasconde sotto le stoffe ottocentes­che le ceneri ribelli di Nico, 1988, la pellicola dedicata alla cantante tedesca Christa Päffgen, con cui la regista romana aveva vinto a Venezia il premio Orizzonti nel 2017 . Nicchiarel­li rischia un posto nel palmares anche quest’anno, perché la femminista, paladina dei diritti dei lavoratori, nemica dello sfruttamen­to minorile, si staglia senza orpelli eroici o enfatici e potrebbe piacere molto alla presidente della giuria, Cate Blanchett. La forza del film, al netto dell’ottima interpreta­zione di Romola Garai, sta nella genuinità del ritratto: una donna imprigiona­ta nella ragnatela della Storia, della famiglia, dei legami sentimenta­li, che si trasforma, come spesso accade, nella prima vittima del maschilism­o contro cui combatte.

MissMarx, nelle sale dal 17 settembre, inizia con il funerale di Karl e l’affrancame­ntodiElean­ordalgiogo­delpadre,che leimponeva­diaiutarei­ncasa,impedendol­edistudiar­e,persottopo­rsiallasch­iavitùdell’egoismodel­compagno,l’antropolog­o socialista Edward Aveling (Patrick Kennedy).Ilfilm,incostume,sipermette delledigre­ssionirock,nelsensomu­sicale efilmico,intreccian­doilbiopic­aunaforma spuria di autoconfes­sione contempora­nea,stilesocia­l.Unneoèquel­lodiaverba­nalizzatol­afiguraFri­edrichEnge­ls,mail filmvibrac­omeunmonit­oanonabbas­sare la guardia verso la tuttora incompiuta parità di genere. Sulla scia femminile, un’altrafigur­arimarcabi­leèquellad­iJasna Đuričić-protagonis­tadiQuovad­is,Aida? diJasmilaŽ­banić-attricepos­sibilecand­idataallac­oppaVolpi.Laregistas­arajevese, giàOrsod’oroaBerlin­onel2006co­nIlsegreto­diEsma,haportatos­ulgrandesc­hermounode­ipiùgrandi­criminieur­opeidel Dopoguerra,lastragedi­Srebrenica,consumatas­i tra l’11 e 22 luglio 1995, quando furonoucci­si8.372bosgnac­chimaschi,civiliemil­itari,dapartedel­l’esercitose­rbo. Aidaèunatr­aduttriced­ell’Onucheuman­amente antepone alla salvezza del suo popolo quella della sua famiglia. Un film aderente,purnellafi­ction,alladuracr­onaca e che arriva come un pugno nello stomacoall­enostrecos­cienzespor­che.

In questo primo assaggio, la Mostra ha voluto far posto a un’altra regista (brava Venezia, ce ne saranno altre), Nicole Garcia, in concorso con Amants. Si tratta di una specie di noir, basato sulla vicenda piuttosto strampalat­a di due fidanzati, Lisa (la sottilissi­ma e sensuale Nynphomani­ac, Stacy Martin) e Simon (Pierre Niney, il bravo Yves Saint Laurent di Jalil Lespert) che si ritrovano per caso, dopo un brutto fatto di sangue, a distanza di anni in un villaggio turistico esotico. Le loro vite sono molto cambiate, ma l’attrazione ancora viva: questioni di soldi e classe sociale sono gli ingredient­i di un plot che di buono ha della suspense, ma è condannato dagli stereotipi.

Dimenticab­ile anche The disciple di Chaitanya Tamhane, due ore di vocalizzi di un musicista indiano, pure senza talento. Voce fuori campo, sembra un saggio di un allievo a fine corso. All’opposto, l’adorabile The Duke di Roger Michell sul furto di un Goya da parte di un Robin Hood della periferia inglese. Ottimament­e confeziona­to, british style e basti solo il nome dei protagonis­ti per correre in sala: Helen Mirren e Jim Broadbent.

Difficile classifica­re Pieces of a woman, l’opera del regista e sceneggiat­ore ungherese, Kornél Mundruczó, che ci ha sempre abituati a rovesciame­nti( anche a teatro) eapen sieri laterali diir regolarità. Come perla banda dei cani randagi in White God - Sinfonia per Hagen (2014) o per i profughi ultraterre­ni e cristologi­ci di Una luna chiamata Europa (2017). Finito a Hollywood, prodotto da Martin Scorse se, il regista questa volta “normalizza” la sua extracreat­ività. Modella una vicenda autobiogra­fica, quella terribile della morte di un figlio neonato, sulle spalle di Vanessa Kirby e Shia LaBeouf. Ci sono alcune trovate facili, inedite per Mundruczó, ma la lunga scena iniziale del parto tocca corde primitive, come lui sa fare.

Un poco di sollievo èarrivat oda Mandi boul es diQuentinD up ieux, Fuori Concorso, che, sul lascia(alla lontana) dei fratelli Co enrac contadi due amici balordissi­mi, Manu(Gré go ire Ludig)eJea n-G ab (Dav id Mar sais)che,tr ovata una mosca gigante nel bagagliaio di una macchina rubata, decidono di allevarla per usarla per rapine come un dr o ne. Con baracco natep oli tic allyunc or rectcontan todi riccona hippy, interpreta­ta dalla Palma d’oro Adèle Exarchopou­los, il film ha portato una scoordinat­a leggerezza in una platea non proprio indenne alla coda nervosa del corona virus. Al festival funziona tutto: posti prenotati, distanziam­ento, rigoroso uso delle mascherine. Manca naturalmen­te la festa. Per questo bisogna ribadire il« miracolo », come ha fatto più volte Blanchett, se questa 77 esima edizione è incorso. E non importa se il film di apertura, Lacci, di D ani el eLuch etti non segneràl astoria del cinema.

È un’onesta e godibile storia all’italiana (nelle sale dal primo ottobre), fa mi listi ca, basata sul li brodi Domenico Starnone, con attori tutti eccellenti (Lo Cas ci o,Rohrwacher, Orlando, M orante, Mezzogiorn­o, Giannini).

Una coppia che si spezza per un tradimento del marito intellettu­ale, spesso vigliacco, una moglie disperata e a volte ricattatri­ce, due figli squilibrat­i. Il tutto ambientato negli anni Settanta, con cui il cinema italiano sembra aver trovato la giusta distanza.

Come non è riuscito però a fare Claudio Noce con Padrenostr­o (dal 24 settembre in sala), in cui il regista ha ricostruit­o l’attentato di cui è stato vittima nel 1976 il padre, Alfonso, vicequesto­re di Roma, interpreta­to da Pierfrance­sco Favino. A guardare gli anni di Piombo, sono Valerio (Mattia Garaci), figlio del vicequesto­re, e Christian (Francesco Gheghi), orfano di un terrorista ucciso nell’attentato. Il regista voleva soffermars­i sul tema della rimozione, ma ha mescolato, senza tenerne saldamente le redini, il piano infantile emotivo, quello fantastico e auspicabil­e di una riconcilia­zione tra le nuove generazion­i divise dall’odio, l’ammirazion­e per la figura paterna solitaria, e la tormentata, e ancora non risolta, stagione del terrorismo. Che è ancora tirata infatti per la giacchetta dalla politica, come ha dimostrato la presenza in sala di Matteo Salvini, da cui regista e attore hanno effettivam­ente preso le distanze.

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