Passione di Cristo secondo un bracciante
The new gospel di Milo Rau, che verrà proiettato fra gli eventi speciali delle “Giornate degli autori” alla Mostra di Venezia oggi e domani, è qualcosa di diverso da una normale produzione cinematografica. Quella realizzata dal regista svizzero – una delle figure di maggior rilievo della scena contemporanea – è una creazione complessa che parte da un evento teatrale che diventa iniziativa politica che diventa film. Come sempre il suo progetto è un mutevole punto d’incontro fra epoche e linguaggi, fra cronaca e tragedia, fra finzione e vita vissuta. Pur trattando in genere di crimini efferati, guerre civili, conflitti etnici, Rau rifiuta con fermezza l’etichetta di autore di opere documentarie. I fatti, dice, non hanno in sé un’evidenza di significati senza un’elaborazione drammaturgica che ne inquadri il contesto, ne indaghi le cause, ne acuisca l’impatto emotivo.
The new gospel è dunque una costruzione stratificata, nata a Matera – capitale della cultura 2019 - a partire da una Sacra Rappresentazione odierna in cui Cristo è un attivista camerunense, Yvan Sagnet, e i suoi seguaci i lavoratori agricoli africani vittime del caporalato. Questo tema attuale si incrocia con le citazioni del Vangelo secondo Matteo di Pasolini, girato qui, come La passione di Cristo di Mel Gibson, e coi cortei, i comizi, le proteste dei braccianti per l’annunciato sgombero del ghetto in cui vivono, scandite dalle canzoni, fin troppo didascaliche, di
Vinicio Capossela. Se la salita al Calvario lungo le scalinate di Matera e la Crocifissione sullo straordinario sfondo dei Sassi sono il lancinante esito finale di questo iter compositivo, il nucleo centrale è lo svelamento del percorso intrapreso per arrivare ad esso, con uno spazio preminente dato alla preparazione, alle prove degli interpreti che sbagliano la battuta e ricominciano da capo, al casting dei figuranti che raccontano le proprie motivazioni.
Tolti i due attori, Enrique Irazoqui, il Cristo pasoliniano, che ora è Giovanni Battista, e Maia Morgenstern, la Maria di Gibson, ancora in quel ruolo, Rau come al solito punta su persone, persone che diventano personaggi. Il sindaco veste i panni del Cireneo, l’adultera salvata dalla lapidazione è un’ex-prostituta di colore con sogni di riscatto. E quelle voci e quelle facce evocano una suggestiva continuità fra verità quotidiana e verità artistica. L’aspetto saliente, però, è che il regista non si limita a un intento dimostrativo. Come in un altro suo film, The Congo tribunal, inscenava un autentico processo contro gli interessi economici all’origine di eccidi sanguinosi, senza valore legale, ma con tutti i crismi di una corte internazionale, così qui organizza davvero un movimento di migranti che rivendica dignità e civili abitazioni. Il suo cinema non cattura semplicemente la realtà, si prolunga in essa, interviene sulla realtà nel momento in cui la descrive.