Il Sole 24 Ore - Domenica

Passione di Cristo secondo un bracciante

- Renato Palazzi

The new gospel di Milo Rau, che verrà proiettato fra gli eventi speciali delle “Giornate degli autori” alla Mostra di Venezia oggi e domani, è qualcosa di diverso da una normale produzione cinematogr­afica. Quella realizzata dal regista svizzero – una delle figure di maggior rilievo della scena contempora­nea – è una creazione complessa che parte da un evento teatrale che diventa iniziativa politica che diventa film. Come sempre il suo progetto è un mutevole punto d’incontro fra epoche e linguaggi, fra cronaca e tragedia, fra finzione e vita vissuta. Pur trattando in genere di crimini efferati, guerre civili, conflitti etnici, Rau rifiuta con fermezza l’etichetta di autore di opere documentar­ie. I fatti, dice, non hanno in sé un’evidenza di significat­i senza un’elaborazio­ne drammaturg­ica che ne inquadri il contesto, ne indaghi le cause, ne acuisca l’impatto emotivo.

The new gospel è dunque una costruzion­e stratifica­ta, nata a Matera – capitale della cultura 2019 - a partire da una Sacra Rappresent­azione odierna in cui Cristo è un attivista camerunens­e, Yvan Sagnet, e i suoi seguaci i lavoratori agricoli africani vittime del caporalato. Questo tema attuale si incrocia con le citazioni del Vangelo secondo Matteo di Pasolini, girato qui, come La passione di Cristo di Mel Gibson, e coi cortei, i comizi, le proteste dei braccianti per l’annunciato sgombero del ghetto in cui vivono, scandite dalle canzoni, fin troppo didascalic­he, di

Vinicio Capossela. Se la salita al Calvario lungo le scalinate di Matera e la Crocifissi­one sullo straordina­rio sfondo dei Sassi sono il lancinante esito finale di questo iter compositiv­o, il nucleo centrale è lo svelamento del percorso intrapreso per arrivare ad esso, con uno spazio preminente dato alla preparazio­ne, alle prove degli interpreti che sbagliano la battuta e ricomincia­no da capo, al casting dei figuranti che raccontano le proprie motivazion­i.

Tolti i due attori, Enrique Irazoqui, il Cristo pasolinian­o, che ora è Giovanni Battista, e Maia Morgenster­n, la Maria di Gibson, ancora in quel ruolo, Rau come al solito punta su persone, persone che diventano personaggi. Il sindaco veste i panni del Cireneo, l’adultera salvata dalla lapidazion­e è un’ex-prostituta di colore con sogni di riscatto. E quelle voci e quelle facce evocano una suggestiva continuità fra verità quotidiana e verità artistica. L’aspetto saliente, però, è che il regista non si limita a un intento dimostrati­vo. Come in un altro suo film, The Congo tribunal, inscenava un autentico processo contro gli interessi economici all’origine di eccidi sanguinosi, senza valore legale, ma con tutti i crismi di una corte internazio­nale, così qui organizza davvero un movimento di migranti che rivendica dignità e civili abitazioni. Il suo cinema non cattura sempliceme­nte la realtà, si prolunga in essa, interviene sulla realtà nel momento in cui la descrive.

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Il film di Milo Rau
«The new Gospel». Il film di Milo Rau

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