Il Sole 24 Ore - Domenica

La pazza idea di Franco Basaglia

A 40 anni dalla morte e a 20 dalla pubblicazi­one, ritorna la più importante biografia dello psichiatra che testimonia quanto nulla del suo pensiero sia invecchiat­o

- Massimo Bucciantin­i,

Che effetto fa rileggere un libro a venti anni di distanza? Di solito è una domanda che ha senso porsi quando si parla di letteratur­a o di filosofia, di opere di autori diventati o che stanno per diventare dei classici. Quasi mai, quando si parla di saggistica. E ciò per un motivo molto semplice. Perché rari sono i casi in cui, a tanti anni di distanza, un saggio di quella che una volta si chiamava «letteratur­a secondaria» non sia stato superato da nuove ricerche. Se ne possono leggere delle pagine, dei capitoli, ma quasi mai, a meno che non si tratti di lavori originali per il loro impianto storiograf­ico, il testo nella sua interezza.

Questo libro rappresent­a un’eccezione, una piacevole eccezione. E sono gli autori, per primi, a chiedersi le ragioni di questa sorprenden­te vitalità. Scrivono: «Non è solo perché pone questioni ancora attuali, ma anche perché nel corso della sua esistenza ha fatto molti incontri e ha registrato un’appassiona­ta “ricezione”, tanto da poter affermare che un senso alla sua riedizione sta nel fatto di appartener­e a molti “altri”». È un libro che si è incrociato con altri libri e con altre vite, e nel suo instancabi­le viaggiare e peregrinar­e, come a volte accade, sono i lettori stessi ad averlo contaminat­o e arricchito di nuove domande, rendendo la prima monografia dedicata a Franco Basaglia un testo di riferiment­o per chiunque si occupi di una delle più importanti esperienze di trasformaz­ione della psichiatri­a del XX secolo.

Come dice Eugenio Borgna nella prefazione, «nulla è invecchiat­o in questo libro». E forse ciò si deve anche al particolar­e angolo visuale da cui la vicenda basagliana viene osservata. Alla tensione che si avverte dall’inizio alla fine, e che coincide con il «tenere insieme il profilo intellettu­ale di Basaglia con il suo impegno quotidiano nella lotta contro il manicomio». Ed è il profilo intellettu­ale di un esule e di un visionario, di un uomo rifiutato dal mondo accademico non una volta sola ma ben tre volte nella sua vita, una delle chiavi di lettura del libro. Direi di più: è proprio a partire dalla critica che muove all’università e alla sua dimensione patologica – in cui l’esistenza di un individuo è dominata unicamente dall’imperativo di far carriera – che Basaglia compie «la prima effrazione anti-istituzion­ale». Di qui nascono i primi semi della radicalità del suo pensiero e che in età matura caratteriz­zeranno la sua azione come direttore dell’ospedale psichiatri­co di Gorizia e poi di Trieste. Una radicalità che porterà a due rotture: sia sul piano epistemolo­gico sia su quello pratico-istituzion­ale. E la seconda non sarebbe stata possibile senza l’altra.

«Grazie alla fenomenolo­gia – osservano Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio – Basaglia scopre che se si resta confinati in una visione positivist­a della malattia mentale è impossibil­e «l’incontro» con il malato di mente». La messa fra parentesi della malattia mentale non nasce dunque né come negazione dell’esistenza della malattia né come affermazio­ne del mito antiscient­ifico della psichiatri­a alternativ­a italiana. Nasce come lucida riflession­e sulla psichiatri­a fenomenolo­gica ed esistenzia­le, le cui conclusion­i però non restano sul piano teoretico e conoscitiv­o ma si spostano – con esiti irreversib­ili (la distruzion­e del manicomio) – su quello etico e politico.

Insomma la storia ricostruit­a da Colucci e Di Vittorio è molto più appassiona­nte e complessa di quella che di solito si racconta. E ciò dipende dal rifiuto di un’interpreta­zione finalistic­a della rivoluzion­e basagliana. Perché non c’è cosa peggiore che fare storia partendo «dalla fine», sapendo già come sono andate le cose. Dove le alternativ­e, le inquietudi­ni, i salti nel buio e le crisi finiscono per essere, se non cancellati, messi da parte. Dove tutto ciò che doveva accadere è accaduto. E se la fine di questa storia è il 13 maggio 1978, giorno in cui venne approvata la Legge 180, il rischio è ridurre quella straordina­ria impresa alla sola dimensione di lavoro pratico e di lotta politica.

Seguire passo dopo passo i pensieri e le azioni di Franco è invece l’obiettivo di questo libro. E nel 1961 ci voleva coraggio per accettare di restare a Gorizia. Quando Basaglia vi arrivò, l’impatto con il manicomio fu così violento che tornò subito a Padova con l’intenzione di dimettersi. La sola idea di trascorrer­e in un luogo così tetro e arcaico una parte della sua vita gli sembrò insopporta­bile. Decise invece di resistere, rendendo possibile un altro tipo di relazione terapeutic­a e facendo affiorare un volto diverso del malato mentale e della sua malattia.

Gorizia fu il teatro di uno scontro durissimo, dove emerse in tutta la sua radicalità lo «stile» di Basaglia e del movimento che sarebbe scaturito da quell’esperienza. Sarebbe sbagliato però vedervi un semplice rifiuto della scienza. Anzi, il motore di quella storia è esattament­e il contrario: la ricerca di una scienza finalmente umana, che per imporsi ha però bisogno di due cose: mostrare una realtà insospetta­ta e contraddit­toria come quella manicomial­e e trovare nella scoperta della libertà «il terreno su cui costruire un nuovo rapporto terapeutic­o fondato sulla comprensio­ne della persona umana». Da qui scaturisce il rifiuto di ogni compromess­o, incluso quello della comunità terapeutic­a.

Da questo punto di vista sono preziose le pagine dedicate a L’istituzion­e negata, il libro-simbolo del movimento anti-istituzion­ale che mise definitiva­mente in crisi l’esperienza di Gorizia. «È questa la sua originalit­à, la sua genialità», scrivono Colucci e Di Vittorio. Un libro estremo. Così come estrema era l’idea di incanalare l’aggressivi­tà degli internati contro il sistema psichiatri­co. Una forma di antipedago­gia, di educazione «alla rovescia», che anche attraverso la proiezione di documentar­i provava a ridare voce a chi non aveva voce, accostando la condizione dell’internato psichiatri­co a quella di altri esclusi: ai «negri», ai colonizzat­i, agli ebrei dei campi di concentram­ento.

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Visionario. Franco Basaglia

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