Il nuovo disordine mondiale
Al sistema bloccato della Guerra Fredda sono seguite strutturali fragilità globali acuite dalla crisi post-Covid: le tensioni, da endemiche, ora sono palesi
Le conseguenze della crisi globale innescata dall’emergenza sanitaria sono così imponderabili da rendere difficile ogni previsione sul futuro. Ciò che però si può (e si deve) fare è valutare come l’architettura dei rapporti di forza del mondo post Guerra Fredda si sia evoluta, e se essa possa adeguarsi all’urto che l’emergenza degli ultimi mesi dispiegherà in futuro.
Questo volume osserva in presa diretta la sintassi delle relazioni globali, e il mosaico che esce dalle tessere dei casi esaminati ha la funzione di ricordarci fino a che punto la complessità dei problemi contemporanei condizioni la comprensione dell’attualità. Del resto Castronovo nei suoi innumerevoli lavori, anche quando si è occupato di realtà quintessenzialmente italiane o di collocare l’attualità nella storia, non ha mai eluso il confronto con la dimensione internazionale.
Se c’è un elemento qualificante che del mondo contemporaneo emerge dalla lettura di questa sintesi, è la strutturale fragilità degli attori. Il nostro è un sistema internazionale nel quale alla vertiginosa sequenza di rivoluzioni tecnologiche fa da sfondo l’assenza di superpotenze paragonabili alle due che realizzarono i quarant’anni di pace armata seguita alla Seconda guerra mondiale. Quel modello, declinato in quasi ogni campo, era alimentato da variabili che sono evaporate con la fine della coesistenza competitiva. Alludere a una riedizione dell’ “equilibrio del terrore” fra Stati Uniti e Cina, come fanno senza parsimonia molti commentatori a corto di idee, è una scorciatoia: le determinanti di quel tornante della storia mondiale sono oggi sostituite da un non-sistema caotico i cui elementi affondano (e si muovono) su coordinate fluide. Di questa precarietà, Castronovo dà conto accuratamente spostandosi su diversi quadranti, e proponendo una rassegna dei nodi più visibili del mondo contemporaneo. La narrazione spazia, per fare solo pochi esempi, dalla ridefinizione del ruolo dello Stato nella gestione degli affari interazionali alla vulnerabilità dell’Unione Europea, dai drammi ambientali approfonditi dall’accelerazione della globalizzazione all’ascesa postcoloniale dell’Africa subsahariana. L’unico elemento che unifica la fenomenologia descritta è il disordine che il non-governo della transizione iniziata dopo la Guerra Fredda ha provocato a ogni latitudine. Una situazione, questa, che deriva dall’entusiasmo un po’ stolido con cui festosamente si salutò l’estinzione dell’Unione Sovietica, quando si immaginò che da quella dissoluzione potesse uscire trionfante il modello incarnato dall’Occidente solo al comando.
Quello scorcio, in cui superando la soglia dell’ovvio si parlò di unipolarismo o monocentrismo, è rimasto sepolto sotto le macerie delle guerre che le amministrazioni americane aprirono poi incautamente. Sarebbe incongruo affermare che la supremazia degli Stati Uniti cessasse improvvisamente: si è affievolita in ragione della velocità con cui sono cresciuti altri soggetti che per forza demografica, collocazione geografica e dinamismo hanno eroso l’unicità del predominio.
La gracile struttura di un mondo che si sarebbe riconosciuto nel credo neoliberale come traguardo ineludibile ha dovuto affrontare i drammi di una crisi economica, quella iniziata nel 2008, i cui esiti hanno messo in discussione la centralità politica di un Occidente ebbro di una vittoria solo immaginata. Man mano che quello shock andava riassorbendosi, anche in Europa la crescita imponente delle diseguaglianze e di prospettive ha scavato divari inediti fra le classi medie e una ristrettissima schiera di banchieri e manager, inceppando il funzionamento di quei sistemi di welfare state che avevano determinato il successo dell’integrazione continentale. In realtà, e questa consapevolezza pervade le pagine del libro, l’adozione dei più spinti dogmi mercatisti coniugati alla caduta di ogni limite alle speculazioni finanziarie, ha provocato una deflagrazione politica ancora prima che economica.
Lo sbriciolamento della capacità di governo che si continua a osservare è dipeso dal rapidissimo scadimento nella formazione e nella riproduzione delle classi dirigenti che hanno affrontato la Grande contrazione. Ciò è stato particolarmente evidente nei Paesi della Ue: prive di una visione in grado di superare l’estemporaneità degli slogan, le classi dirigenti europee non hanno saputo guardare al deterioramento delle loro società, e hanno finito per sbattere contro il dramma imprevisto della pandemia in corso.
Gli ultimi capitoli del lavoro di Castronovo esaminano appunto la qualità e la diversità delle risposte che si iniziano a dare una crisi così violenta. Quali siano state le lentezze, le indecisioni, le angustie con le quali si è provato a rispondere all’emergenza, fa parte dell’attualità politica, ma ciò che più conta qui è capire se (e come) le strutture formatesi nell’ultimo trentennio riusciranno a fare da diga alle tensioni che da endemiche sono divenute palesi.
Domandarsi dunque chi vince e chi perde nell’attuale situazione, è un rompicapo cui sembra impossibile rispondere, e ciò non solo perché la volatilità della situazione è tale da non concedere certezze, ma anche perché la distribuzione dell’influenza e del potere globale apparirà radicalmente ricalibrata quando la crisi sarà superata.