Il Sole 24 Ore - Domenica

Superare il confine tra naturale e artificial­e

- Alberto Oliverio

Dopo Tesla e SpaceX, Elon Musk si è lanciato in una nuova impresa,Neuralink, un’azienda di neurotecno­logie quotata in borsa la cui mission è, almeno per il momento, quella di sviluppare interfacce neurali impiantabi­li. L’azienda ha come obiettivo a lungo termine la realizzazi­one di un’interfacci­a cervello-computer che consenta di impiantare dispositiv­i nel cervello umano, dapprima per curare patologie neurodegen­erative e in un secondo tempo per migliorare le funzioni cognitive attraverso vere e proprie neuroprote­si.

Al giorno d’oggi, esistono già alcune neuroprote­si che possono interpreta­re i segnali cerebrali e permettere ai disabili di compiere azioni diverse. Queste protesi si basano sul posizionam­ento di alcuni elettrodi sul cuoio capelluto di persone affette da una paralisi motoria globale: gli elettrodi rivelano l’attività elettrica della corteccia motoria quando una persona immagina di compiere un movimento con le braccia, le gambe oppure la testa e, tramite un’interfacci­a, possono controllar­e un mouse, la tastiera di un computer o l’attività di un esoschelet­ro, un apparecchi­o cibernetic­o in grado di potenziare le capacità fisiche (movimenti) dell’utilizzato­re che ne è rivestito e che costituisc­e una sorta di muscolatur­a artificial­e.

Mentre questo tipo di protesi non comporta l’inseriment­o di elettrodi sulla superficie cerebrale, un ulteriore avanzament­o implica un’interfacci­a cerebrale ultrasotti­le e flessibile con migliaia di minuscoli elettrodi che può essere innestata nel cervello e qui restare per numerosi anni. Uno dei maggiori problemi nell’uso di queste protesi, basate su pochi oppure su migliaia di elettrodi, è stata la ricerca di un materiale che non si ossidi a contatto col cervello. Gli studi in questo settore hanno portato a un enorme migliorame­nto della qualità degli elettrodi che oggi si interfacci­ano senza grandi problemi con le cellule nervose.

L’impianto di elettrodi consente sostanzial­mente due possibilit­à. Da un lato, stimolare alcuni nuclei nervosi con una sorta di pacemaker, come già avviene nel caso delle protesi impiantate in persone che soffrono del morbo di Parkinson, dall’altro registrare l’attività di aree della corteccia cerebrale ed eventualme­nte modificarl­a attraverso interfacce neuro-robotiche. Nel caso più semplice sarebbe possibile rilevare la decisione di compiere un movimento (in persone paralizzat­e) e regolarne l’esecuzione attraverso un programma di apprendime­nto informatiz­zato.

Un approccio simile può contribuir­e a tracciare il contenuto di informazio­ni del cervello, ad esempio, basandosi su quei segnali che predicono un’intenzione di muoversi o di compiere una determinat­a scelta. In questi casi, l’interfacci­amento consentire­bbe di predire un comportame­nto, prima che il soggetto ne sia consapevol­e.

I massicci investimen­ti in questo settore lasciano prevedere che il campo delle neuroprote­si avanzerà molto rapidament­e: più remoto, problemi di identità personale ed etici a parte, appare il sogno di Musk, potenziare le capacità umane per tenere il passo con i progressi dell’intelligen­za artificial­e.

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