Il Sole 24 Ore - Domenica

La donna che tentò di salvare Amedeo

Un profilo di Jeanne Hébuterne, la compagna di Modigliani

- Giusette Scaraffia

Dove si saranno conosciuti Jeanne e Amedeo? A un ballo in maschera dove Modigliani si era presentato vestito da Pierrot? O forse al Café de la Rotonde, ritrovo della bohème di Montparnas­se, dove i camerieri cercavano di tenere lontano quel cliente irascibile sempre ubriaco. Lo sostiene Grazia Pulvirenti in queste pagine liriche in cui cerca di gettare luce su una figura sempre rimasta in margine. Quando si conobbero, nell’estate del 1917, lui aveva 33 anni e lei 19. Lei era un’aspirante pittrice che studiava all’accademia Colarossi. Lui era già una leggenda, anche se per alcuni era solo un pagliaccio, una caricatura del bohémien.

Non c’era più traccia del Modigliani approdato a Parigi con l’eredità del padre e un abito su misura che aveva stupito il suo amico Blaise Cendrars per la raffinatez­za del taglio. Però qualcosa di quello stile era rimasto nel logoro ma pulitissim­o abito di velluto nero su cui spiccava un foulard rosso annodato con noncuranza o nelle camicie a scacchi tagliate nelle stoffe da materasso. Non a caso Picasso sosteneva che solo Modigliani sapeva vestirsi bene. I due avevano a lungo preso l’hashish insieme e Picasso, malgrado fosse irritato dal maledettis­mo dell’italiano, cercava spesso di aiutarlo. Un giorno, però, non avendo sottomano una tela per dipingere, non aveva esitato a usare il quadro di Modigliani che aveva comprato per aiutarlo. Amedeo faticava ad affermarsi, ma a tratti sembrava intuire la sua futura gloria. Quando aveva dipinto il ritratto di Soutine, allora un selvaggio barbone, sulla porta di casa, irritando tutti, aveva replicato: «Un giorno questa porta varrà peso d’oro!».

Jeanne Hébuterne non spiccava tra la folla eccentrica di artisti e modelle di tutti i Paesi. La chiamavano Noce di Cocco per il contrasto tra i capelli scuri e la pelle diafana. Jeanne aveva un’espression­e strana, quasi assente. Timida e paziente, Jeanne aspettava che Modigliani si decidesse a lasciare il locale in cui stava bevendo. Parlava piano, con un sorriso forzato, ma i grandi occhi chiari restavano lontani. I suoi genitori, dei cattolici molto rigidi, disapprova­vano quel pittore depravato e inconclude­nte.

Pochi sapevano che all’artista faceva orrore il suo nome. Preferiva presentars­i sempliceme­nte col cognome: «Sono Modigliani, ebreo». Non era alto, ma era bruno e bello, con uno sguardo focoso e uno strano modo di ridere, amaro e vagamente infantile. Nascondeva la sua sensibilit­à sotto i sarcasmi, ma era capace di stupire gli interlocut­ori con imprevedib­ili scoppi d’ira. Un giorno, esasperato dalla bassissima offerta di un mercante, aveva preso i disegni che gli aveva proposto e, dopo averli bucati, li aveva messi in bagno per utilizzarl­i come carta igienica.

La casa gliela aveva trovata Leopold Zborowski, un amico mercante d’arte che cercava di strapparlo al gorgo dell’autodistru­zione. Salita una scala ripida e stretta si arrivava all’ultimo piano dell’8 di rue de la Grande-Chaumière. Due amiche glielo avevano pulito e dipinto di un grigio chiaro, che il pittore sostituì subito con arancio e ocra. Ma ne era entusiasta: per la prima volta aveva un luogo dove far venire gli amici. Non aggiunse niente al divano, al tavolo e alle sedie fornite dalle amiche. Le tende, troppo care, vennero sostituite da una mano di bianco alle finestre. Modì non voleva essere disturbato mentre dipingeva dei nudi. Dietro la porta, Jeanne sorvegliav­a sospettosa. Neanche lei, tutta

L’amore della giovane gli aveva dato una minima stabilità, ma non lo distolse dal bere

assorbita dalla sua passione per l’amato, badava alla pulizia e presto uno strato di polvere di carbone aveva velato il pavimento su cui era buttato un materasso. I lavori di Jeanne tradivano un certo talento e si stavano liberando dall’influenza di Amedeo. In un quadro intitolato Il suicidio la donna abbandonat­a sul letto sembra prefigurar­e la sua fine.

Nemmeno il suo amore, che gli aveva dato una minima stabilità, era riuscito a strapparlo dal vizio del bere. «L’alcol ci isola dall’esterno, ci aiuta a penetrare nella nostra interiorit­à». A tratti cercava di reagire: «L’alcol mi fa orrore. Mi stravolge, gli sfuggirò». Invece evitava di parlare della tubercolos­i che lo stava invadendo.

Quando era morto in ospedale, lei, incinta per la seconda volta, si era buttata dalla finestra della casa dei genitori, che non avevano voluto il cadavere. Un carrettier­e l’aveva portato a casa, ma la portinaia aveva voluto il permesso della polizia per farlo entrare. Al suo funerale c’erano poche persone, in contrasto con la folla presente a quello di Amedeo, e molti fiori bianchi.

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Jeanne Hébuterne. L’artista (18981920) visse con Modigliani all’8 di rue de la GrandeChau­mière e, quando seppe della morte di Modì, si suicidò: era al nono mese di gravidanza

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