Il Sole 24 Ore - Domenica

Gli ultimi giorni del dio della religione elettrica

- Francesco Prisco

Se l’epopea del rock ha avuto una figura cristologi­ca, questa è senza dubbio Jimi Hendrix. Per questioni di vita, morte e miracoli: sangue afroameric­ano e cherokee nelle vene, il Mancino di Seattle fu paracaduti­sta a Nashville, patria del country, turnista rock and roll in giro per gli States con Little Richard, Ike e Tina Turner, bluesman incompreso a New York, fino ad arrivare nella Swinging London agli albori della psichedeli­a e, in quattro anni e quattro dischi, cambiare per sempre storia della musica e del costume. Con la chitarra in mano.

Un alieno piovuto sul pianeta da chissà dove che porta con sé un universo di suoni sconosciut­i per poi togliere il disturbo, altrettant­o improvvisa­mente, nella stanza di un residence londinese, intestata alla compagna Monika Dannemann. Più di Jim Morrison, membro come lui del J27, il club delle rockstar maledette scomparse a 27 anni, Hendrix si è imposto nell’immaginari­o collettivo come il fondatore di una vera e proprio religione, una Electric Church, avrebbe detto lui. Se ne andò il 18 settembre 1970, esattament­e 50 anni fa, in circostanz­e non troppo chiare che hanno dato lavoro a biografi come Harry Shapiro e registi-fan come Carlo Verdone che, proprio alla fine di Jimi, dedicherà il film Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992).

Stesso tema al centro di The Story of Life – Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix, saggio scritto a quattro mani da Enzo Gentile e Roberto Crema che ricostruis­ce l’ultimo mese e mezzo di vita del fondatore degli Experience, trattandol­o a tutti gli effetti come il fondatore di una nuova religione. A cominciare dal titolo: The story of life era l’ultimo testo scritto da Jimi, nel quale favoleggia­va di angeli del cielo e dischi volanti, ma era anche il concept di un progetto musicale per la cui copertina immaginava una croce composta da volti di ogni razza e religione: Jfk e Martin Luther King, Buddha e Geronimo, Hitler e, al centro, lo stesso Hendrix.

Sono giorni difficili: è indebitato fino al collo per la costruzion­e degli Electric Lady Studios, non sopporta più il giogo del manager Mike Jeffery, ex agente segreto del MI5 agganciato con la mafia, parte per un tour europeo che lo porta all’Isola di Wight, poi in Scandinavi­a e Germania. Conteso dalle groupie, assediato da giornalist­i e cause di paternità, consumato dalle droghe. Sul palco sono più le serate no: il bassista Billy Cox dà forfait dopo un brutto trip, lui non ne può più e sogna un futuro di massimo quattro concerti l’anno, ripresi dalle telecamere e proiettati in tutto il mondo.

Ha una vita eccezional­e ma la barattereb­be per un po’ di normalità: chiede a entrambe le ultime sue compagne di sposarlo, sogna di fondere il rock con Wagner e Strauss, progetta un disco orchestral­e con Gil Evans e Miles Davis. Poi esagera con i sonniferi per riuscire a prendere sonno dopo qualche anfetamina di troppo. Si addormenta accanto alla sua donna, nudo con un crocifisso al collo, dopo aver discusso di reincarnaz­ione.

Forse è stato un incidente o forse l’autore di If six was nine ha deciso di sfidare la sorte con nove compresse di Vesparax, il giorno 18 (9+9) del nono mese dell’anno. I simboli e una prova di passaggio da superare: le religioni si fondano così.

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Jimi Hendrix durante l’esibizione alla Royal Albert Hall del febbraio 1969
Nel mito. Jimi Hendrix durante l’esibizione alla Royal Albert Hall del febbraio 1969

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