Il Sole 24 Ore - Domenica

Una luce notturna rischiara il Medio Oriente

- Roberto Escobar

Quasi fosse un occhio freddo, il cinema di Gianfranco Rosi osserva e racconta l’accadere – il tragico accadere – che insanguina il Medio Oriente. Dal 2017, l’autore di Sacro Gra (2013) e Fuocammare (2016) per tre anni ha percorso i confini di Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, e ne ha tratto il suo Notturno (Italia, Francia e Germania, 2020, 100’). Il film si apre su un cielo scuro. E subito accade che alcune donne vestite di nero – con il capo coperto, come si vedevano nelle nostre campagne cinquant’anni fa – percorrano lo squallore di una prigione ormai abbandonat­a, ma in cui sembra loro di sentire e vedere ancora vivi i figli che la crudeltà del potere ha torturato e massacrato. Non c’è voce fuori campo, non c’è commento, a parte le loro parole sommesse, i loro visi, le loro mani che cercano sui quei muri luridi un conforto impossibil­e alla memoria. Non c’è tempo per la pietà, per l’occhio freddo di Rosi. E forse non c’è mai davvero stato, in quella parte del mondo che è anche il nostro. Con un vecchio fucile in spalla, ora un uomo si spinge con la sua motociclet­ta nel mezzo di una palude. Tra gli sterpi nasconde una piccola canoa. Ci sale, e rema verso chissà quale punto di quel niente. Sullo sfondo, il fuoco di alcuni pozzi petrolifer­i e, cadenzati come una colonna sonora, colpi di mitragliat­rice.

Guarda il cielo, come è bello…, si dicono poi un uomo e una donna. Seduti l’uno di fronte all’altra, parlano d’amore. Intanto, non lontano dalla terrazza su cui respirano la dolcezza della notte, ancora risuonano quei colpi, secchi e terribili. Ancora una volta non c’è commento, a parte il contrasto dei loro sguardi inteneriti con quell’orrore di fondo, continuo, oggettivo, invincibil­e. Sotto i cieli scuri, di fronte all’occhio freddo del cinema, questi uomini e queste donne vivono. Così sempre accade, a tutte le donne e a tutti gli uomini, anche quando l’orrore sembra non conoscere fine. Accade alle soldatesse curde che la guerra non riesce a privare d’umana gentilezza. Accade ai pazienti di un reparto psichiatri­co che recitano e mettono in scena il copione delle loro vite, tutti con le loro paure, le loro speranze, le loro illusioni, per ognuno diverse. Accade ai militanti dell’Isis prigionier­i, chiusi ora nelle loro tute rosse, co-me lo sono stati – e forse ancora lo sono – nel loro fanatismo sanguinari­o. Accade, ma con una fatica che sentiamo tragica, ai ragazzini e alle ragazzine che alla loro maestra raccontano, stupiti e atterriti, quello che hanno visto fare da quei soldati di un dio improbabil­e. E accade ad Alì, forse neppure diciottenn­e, che per campare la vita, la sua e quella della madre e dei fratelli, fa il cane da riporto (alla lettera) per cacciatori che lo ripagano con cinque dollari per un’intera giornata.

Tutto questo accade, sotto l’occhio freddo di Notturno. Ma al cinema poche volte ci è accaduto che la voluta, apparente, sofferta freddezza si trasformas­se in uno sguardo tanto caldo di partecipaz­ione simpatetic­a e di umana solidariet­à.

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«Notturno». Alì, uno dei protagonis­ti del film di Gianfranco Rosi

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