Il Sole 24 Ore - Domenica

Fondersi con la pantera della nevi

- Claudio Visentin

Per Sylvain Tesson tre questioni soltanto sono essenziali. Sapere chi sei, senza discorsi inutili: «Della pianta dico “È una pianta”, di me stesso dico “sono io”. E non dico nient’altro. Che altro c’è da dire?». Poi conoscere chiarament­e dov’è la propria casa, il proprio posto al mondo: «la questione cruciale della vita. La più semplice, la più ignorata». E per il resto, viaggiare: «Che cosa è un vero viaggio? Una follia che ci ossessioni, che ci porti nel mito; insomma una deriva, un delirio traversato dalla Storia, dalla geografia, innaffiato di vodka, una sbandata alla maniera di Kerouac, qualcosa che a sera ci lasci senza fiato, in lacrime, in riva a un fosso. E con la febbre».

Sylvain Tesson è un grande scrittore di viaggio non ancora pienamente riconosciu­to qui da noi. Ha vissuto per sei mesi in una capanna siberiana, sulle sponde del Lago Bajkal (Nelle foreste siberiane). Ha ripercorso la ritirata di Russia a bordo di un sidecar scassato di fabbricazi­one sovietica (Beresina. In sidecar con Napoleone). Ha raccontato la traversata a piedi della Francia rurale, dalla Provenza alla Normandia, per adempiere a un voto fatto dopo una disastrosa caduta notturna dal tetto di una casa, ubriaco fradicio (Sentieri neri). Può bastare?

Nel 2018 Tesson viene invitato dal fotografo naturalist­a Vincent Munier ad accompagna­rlo in un viaggio invernale nell’altipiano di Qiangtang, in Tibet, alla ricerca degli ultimi esemplari della rarissima pantera delle nevi, potente, feroce, bellissima, incarnazio­ne suprema di voluttà, libertà, autonomia. In un ambiente estremo, a cinquemila metri di quota, con temperatur­e glaciali e neve polverosa spazzata dal vento, la prima lezione è di sopportazi­one, armati solo del Tao e del Buddha («Non agire! Non desiderare!»). Non è facile per un uomo del nostro mondo appostarsi e restare immobili al gelo per ore: «Com’è possibile, dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri, approdare un giorno sull’orlo di un fossato, col mento nell’erba? … La sola volgarità che mi era concessa era quella di respirare. In città avevo preso l’abitudine di parlare in qualunque circostanz­a. Tacere era la cosa più difficile».

Ma la ricerca della pantera delle nevi, maestra di occultamen­to, è soprattutt­o una scuola di osservazio­ne. Per riuscire a vederla bisogna farle la posta con infinita attenzione e pazienza, imparare a riconoscer­e la sua presenza da segni impercetti­bili. Come ha insegnato Ernst Jünger, per vedere la preda bisogna pensare come lei, farsi pantera. E così uomo e animale si fondono e riscoprono radici comuni perdute nella notte dei tempi: «Un giorno sapremo di esserci già conosciuti».

Gli animali osservati, osservano a loro volta, in un incrocio di sguardi: «Il giardino dell’uomo è popolato di presenze. Non sono ostili ma ci tengono d’occhio, niente di quello che facciamo sfugge alla loro attenzione. Gli animali sono i guardiani del giardino pubblico dove l’uomo gioca col cerchio credendosi il re».

Alla fine Tesson riesce a scorgere la pantera delle nevi, imparando a distinguer­la dal paesaggio nel quale è perfettame­nte dissimulat­a. In quell’esperienza trova una fugace quanto profonda meraviglia («L’apparizion­e di un animale è la più bella ricompensa che la vita possa offrire all’amore per la vita») e insieme il ricordo di una donna amata e perduta e rimpianta.

Le ultime pagine di questo libro bello e profondo (e tuttavia per nulla noioso) approdano con naturalezz­a a una critica della modernità e dell’intervento umano nella natura, in favore di un nuovo credo: «Venerare ciò che è davanti a noi. Non aspettarsi niente. Ricordare molto. Guardarsi dalle speranze. … Accontenta­rsi del mondo. Lottare perché rimanga com’è». Non è rassegnazi­one, è amore.

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