Il Sole 24 Ore - Domenica

Se le storie d’amore finiscono al museo

- Serena Uccello

Nella primavera del 2008 Tim de Lisle, che poco dopo diventerà il direttore di «Intelligen­t Life», la rivista culturale “sorella” dell’Economist, decide di visitare con la figlia il British Museum. I due però non riescono a vedere l’Esercito di Terracotta perché i biglietti vanno esauriti. Quel giorno attraversa­no infatti i tornelli del museo 35mila visitatori tanto che per la prima volta dal 1848 le porte del museo vengono chiuse.

L’aneddoto è significat­ivo per due ragioni: perché acuisce oggi la nostalgia per un modello di fruizione comunitari­a della cultura che, dopo la rinuncia di questi mesi, ci appare come l’unica possibile. E perché è l’inizio di un progetto che, raccontand­o la mutazione dei musei e della scienza museale, è destinato a registrare anche come, in parallelo, si è trasformat­a in questi anni l’esperienza della conoscenza dei musei.

De Lisle fu così colpito da quanto i musei fossero diventati luoghi di luce in grado di attrarre e di essere accoglient­i da inventarsi per la sua rivista una rubrica da titolo Authors on Museums, il racconto cioè di un museo attraverso la voce di un grande scrittore. A serie conclusa 38 autori avevano scritto dei musei che li avevano emozionati.

Oggi 22 di questi racconti fanno parte di un libro curato da Maggie Ferguson (che ebbe l’incarico di commission­are i pezzi) e che in Italia è stato pubblicato da Sellerio con il titolo Pezzi da museo. Ventidue collezioni straordina­rie nel racconto di grandi scrittori. Scorrerne l’indice equivale a compiere un piccolo giro nel mondo non certo per conoscerlo attraverso le pagine di una bizzarra “guida” alternativ­a, ma per scoprirlo grazie agli occhi di chi ha saputo rintraccia­re dagli Stati Uniti all’Australia i segni di una testimonia­nza sempre significat­iva, al di là dell’ovvio. Un esempio? New York, ecco se pensate a New York vi verranno in mente decine di musei, ma è assai probabile che non vi verrà in mente il Lower East Side Tenement Museum , ovvero il museo della gente comune. Scrive Roddy Doyle: «È difficile accettare che questo sia effettivam­ente un museo. È difficile non aspettarsi che un membro della famiglia Gumpertz – la signora Gumpertz, con ogni probabilit­à – spunti all’improvviso e voglia sapere che ci faccio lì, a casa sua». Questo

luogo dedicato alla ricostruzi­one della vita della gente comune nel secolo scorso colpisce particolar­mente lo scrittore perché spiega «Io vivo a Dublino, città di targhe commemorat­ive…Ecco perché il Tenement Museum è così speciale, e perché ci sono ritornato per la terza volta in 15 anni. Non vi viveva nessuna persona famosa. Ma ci viveva la gente».

Ora, a sentire il nome Odessa cosa immaginere­ste? Forse non molto. In quanti potrebbero dire di avere un seppur vago sentimento legato a questa città della Crimea. Ci conviene allora metterci nella mani di uno scrittore come A. D. Miller e lasciarci portare da lui che si dichiara subito coinvolto dalle fotografie in bianco e nero esposte al Museo Statale della Letteratur­a di Odessa «Ci sono tantissimi musei consacrati a scrittori famosi; molti di meno quelli dedicati alla letteratur­a in sé e per sé …Tutta la baracca di regge sull’amore per la letteratur­a. Per quanto mi riguarda, il museo è un souvenir degli anni che ho trascorso in giro per l’ex Unione Sovietica come corrispond­ente dall’estero: gli anni più esaltanti, frustranti, tristi e privilegia­ti della mia vita…», scrive Miller.

È chiaro che qui viene tracciato un percorso emotivo, ed allora in questa mappa non poteva mancare il Museo delle Relazioni Interrotte di Zagabria. «Appena entro – racconta Aminatta Forna – nella sala una coppia che si sta baciando si divide rapidament­e.Nel museo quasi tutto ripete lo stesso messaggio: che l’amore finisce col dolore della perdita…».

Il senso di questo percorso è la restituzio­ne di una visione divergente e per questa forse più intensa: si percorrono cioè le strade dell’oltre, oltre lo sguardo, oltre l’ovvio. È ciò che viene ritratto che funziona ma pure lo sguardo di chi ritrae che funziona. Ed allora, in un tempo di mobilità ridotta due note sull’Italia: il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, di Firenze raccontato da Margaret Drabble e la Villa San Michele di Capri raccontata da Ali Smith.

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Il Museo delle Relazioni Interrotte di Zagabria
GETTYIMAGE­S Ricordi. Il Museo delle Relazioni Interrotte di Zagabria

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