Visita a Castle Howard teatrale palazzo di campagna, tra gallerie d’arte e spettacolari padiglioni nei giardini
Costruito nel 1699 da John Vanbrugh per Charles Howard, il palazzo era ricco di capolavori, alcuni venduti ma altri ancora conservati nelle spettacolari gallerie
Ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che ne prendono il merito. Bisogna essere nel primo gruppo: tra l’altro è il meno affollato e con poca competizione.
Era Gandhi a proporre questa bipartizione dell’umanità nel suo agire. È una verità che scopriamo tutti con una punta di amarezza e talora di sdegno, pronti però anche noi ad accogliere senza remore una lode immeritata. Effettivamente la tentazione di vestire le piume del pavone è troppo forte per rinunciarvi. Ci sono, però, persone nascoste che operano e sostengono tanti altri sulle loro spalle e sono del tutto ignorate.
Eppure sono serene perché in loro si compiono le parole del Vangelo: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Luca 17,10).
Per contrasto ecco, invece, la folla dei chiacchieroni (non solo politici) che si intestano meriti altrui, si auto-applaudono, e imboccano la via del successo che è spesso solo inganno, frutto di abile propaganda. Sì, persino la cosiddetta “meritocrazia” tante volte è solo fumo negli occhi per infittire quel secondo gruppo che Gandhi considerava il più affollato.
Gli eventi tragici che minacciano le grandi case dell’aristocrazia inglese sono due: il fuoco e la necessità di vendere, per sopravvivere, i tesori che conservano. Ambedue queste sciagure hanno minacciato più volte il destino di Castle Howard nei trecentoventi anni di vita che la grande dimora conta. I peggiori sono stati gli incendi. Poco tempo dopo l’inizio della seconda guerra mondiale, nel 1940, fu quasi interamente distrutta la grande cupola che centra il solenne edificio. La si considera uno dei capolavori della storia dell’architettura inglese, realizzata da John Vanbrugh, iniziata nel 1699 e decorata con pitture che fanno parte della storia dell’arte italiana, opere di Giovanni Antonio Pellegrini, veneziano, cognato di Rosalba Carriera, sommo viaggiatore e divulgatore dell’arte veneta. Il palazzo lungo gli anni contenne molti dipinti veneziani, del Canaletto, di Marco Ricci, del Bellotto. Non meno significativi erano due grandi ritratti di Reynolds, quello raffigurante il quinto conte di Carlisle e quello di Omai, il bel giovane che arrivò dalle isole del Sud con il capitano Cook nel 1774. Il primo oggi è nella Tate Gallery, in pagamento dei diritti di successione, il secondo fu venduto all’asta nel 2001 per una cifra colossale. Gli venne negata la licenza di esportazione, affare sempre molto complicato in Inghilterra. L’atteggiamento del fisco inglese verso il collezionismo privato è discutibile, in un modo diverso da quello italiano ma non sempre più equo. Verso le opere d’arte conservate a Castle Howard non si può dire che il destino sia sempre stato clemente o comprensibile.
Da John Howard, creato duca di Norfolk nel 1483, discendono diversi rami famigliari, spesso cattolici, con lo stesso cognome ma con diversi titoli. Quelli di Castle Howard divennero Earls of Carlisle nel 1661: l’ultimo conte è vivente ma non spetta a lui la proprietà della dimora per complesse ragioni dinastiche e legali. Fu il terzo Earl of Carlisle, Charles Howard, a costruire l’edificio. L’architetto John Vanbrugh (1664-1726) era uomo di teatro, autore di commedie, militare, politicamente Whig, protestante, senza alcuna preparazione architettonica ma membro del famoso Kit-Cat Club assieme a personaggi del calibro di Joseph Addisson, di Marlborough, di Lord Burlington e di Robert Walpole. Vanbrugh aveva una sua particolare genialità che lo portava ad afferrare rapidamente le vie del gusto e una forma di senso divinatorio affinata negli anni di prigionia in Francia. Una volta rilasciato dovette guardare con particolare intensità i lavori di Le Vau e di Mansart: si pensi alla cupola del Hôtel des Invalides e a quella del Collège des Quatre-Nations più che a quelle dell’Italia, un Paese che non conobbe personalmente. Non è casuale che Vanbrugh, non cattolico, non abbia alcuna difficoltà nel destinare una cupola simile a quelle delle chiese a un edificio non religioso, come non lo erano quelle degli edifici francesi summenzionati. Vanbrugh ebbe anche una particolare fortuna, quella di avere al suo fianco come aiuto il non meno geniale architetto Nicholas Hawksmoor, che era stato assistente di Sir Christopher Wren e aveva una virtù comoda agli altri: la discrezione che lo portava a non mettersi mai in mostra. Il committente, anche questo giocava a favore dell’architetto, era il terzo Earl of Carlisle, membro dello stesso Kit-Cat Club. Non è forse casuale che la Regina Anna abbia proposto al Duca di Marlborough lo stesso Vanbrugh come architetto dello sfarzosissimo palazzo di Blenheim considerato una pietra miliare dell’architettura europea del primo Settecento.
Le collezioni di Castle Howard hanno subito, lo si ripete, continui spostamenti, vendite e distruzioni e persino nell’ultimo ventennio quel che è passato nelle sale d’aste è di grande importanza. In quella dell’8 luglio 2015 presso Sotheby’s erano incluse nove opere provenienti dal castello e a me capitò di fornire uno scritto sulla coppia di stipi romani eseguiti ai primi del Seicento con le aquile araldiche della famiglia Borghese, probabilmente appartenuti al Cardinal Scipione Borghese e acquistati dal quarto Earl of Carlisle, uno dei pochi membri della famiglia a essersi recato in continente per il tradizionale Grand Tour, prima nel 1714 poi nel 1738, acquistando opere appartenute al Cardinal Pietro Ottoboni e a personaggi mitici del collezionismo come il Cardinale Alessandro Albani, Philip von Stosch e Francesco Ficoroni. Lord Carlisle era ritenuto un uomo di gusto e in una lettera di uno dei più intelligenti sudditi inglesi del Settecento, Horace Walpole, lo si definisce a great, virtuoso. Per meglio capire la varietà del gusto degli Howard menziono qui alcuni oggetti andati all’asta in quel luglio 2015: una vaso di quarzo granito grigio, di epoca imperiale trovato nel 1721 nella Domus Transitoria di Nerone sul Palatino; un ritratto tardo di Enrico VIII della bottega di Holbein; una veduta veneziana del Bellotto; un bellissimo ritratto di un fanciullo del famoso olandese Ferdinand Bol e una Madonna con Bambino del Sansovino di cui esistono altre versioni, tutte di minore qualità. Qualche altra pittura veneziana resta ancora a Castle Howard di mano di Marco Ricci e ancora di Bernardo Bellotto, oltre a un magnifico Pannini con le rovine delle Terme di Caracalla.
Castle Howard rimane comunque una delle più belle dimore inglesi, notevole per la sua rara eleganza architettonica e per la originalità della pianta che include alcuni corridoi monumentali dove oggi sono disposte le antichità che contano esemplari notevoli come un leone che aggredisce un toro, una serie importante di busti e alcuni mosaici pavimentali di scavo sistemati su consolles dorate inglesi degli inizi del Settecento. Questi lunghi corridoi sembrano sale di un museo con una scelta colta e decisamente originale. I giardini, grandiosi, contengono due padiglioni: il primo, il Tempio dei Quattro Venti, è opera di Vanbrugh di cui si conoscono i disegni del 1724. L’altro, non meno originale, è destinato a mausoleo della famiglia, eretto da Nicholas Hawksmoor a partire dal 1729, da alcuni considerato uno dei più begli edifici inglesi dell’epoca.
I due padiglioni nei grandiosi giardini: il Tempio dei Venti e il mausoleo della famiglia
Quindicesimo di una serie di articoli