Una voce libera contro mafie e poteri occulti
Compie 90 anni l’intellettuale di «Un eroe borghese»
Il 24 settembre compirà novant’anni. Ma chi è Corrado Stajano? Un giornalista, un saggista, uno storico, un politologo? Forse, più semplicemente uno scrittore, poiché solo un autentico scrittore è capace d’amalgamare fonti, stili e registri tanto diversi in una miscela così inconfondibile di indignazione e amarezza.
Da oltre mezzo secolo, le sue pagine fotografano in tempo reale la storia d’Italia con una profondità di campo impensabile per molti specialisti. L’anno scorso, all’esame di maturità, un suo brano sull’eredità del Novecento è stato scelto per una delle tracce del tema d’italiano.
Nato a Cremona nel 1930 e vissuto a Milano, appassionato lettore di Gadda, legami famigliari con i Borgese e i Cederna, collaboratore del «Mondo» di Pannunzio, del «Giorno» di Italo Pietra, del «Messaggero» di Vittorio Emiliani, dell’«Unità» e del «Corriere della Sera» (abbandonato polemicamente proprio qualche giorno fa), autore Rai con Ermanno Olmi di alcuni documentari e con Marco Fini di un’inchiesta sulla strategia della tensione, Stajano esordì come narratore nel 1975 con Il sovversivo: dedicato alla breve vita dell’anarchico Franco Serantini, picchiato a morte dalla Celere il 5 maggio 1972 sul Lungarno Gambacorti di Pisa nel corso di una manifestazione. Il povero ragazzo, incensurato, figlio di NN, cresciuto tra orfanatrofi e riformatori, sarà ucciso una seconda volta quando lo Stato si dimostrerà incapace di processare i responsabili della sua fine.
Serantini fu il primo dei tanti «resistenti» invisibili che costelleranno le cronache civili di Stajano: minuscoli granelli di sabbia in grado di far inceppare anche il più oliato meccanismo del potere. Seguiranno, fra gli altri, il fornaio anarchico Rocco Palamara di Africo (Reggio Calabria), ammutinatosi contro la ’ndrangheta e costretto a lasciare il paese inseguito anche dalla magistratura (Africo, 1979); e poi una figura solo in apparenza agli antipodi: l’avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, assassinato nel ’79 dalla «mafia politica» di Michele Sindona. Monarchico, anticomunista, il mite Ambrosoli era illuminato da un senso dello Stato sconosciuto a fior di progressisti. Il libro che ne raccontò la storia, Un eroe borghese, uscito nel 1991 e ambientato in una Milano cupa e tenebrosa, è ormai un long seller.
Stajano è anche un grande anatomista del potere italiano, tratteggiato con il pennello d’un Goya o d’un Bosch. Uno dei suoi parti migliori – forse quello con cui spiccò definitivamente il volo – è L’Italia nichilista (1982). Racconta la sconcertante vicenda di Marco Donat-Cattin, il terrorista di Prima Linea figlio del vice-segretario democristiano, «coperto» sino all’ultimo dai colleghi del padre. Nichilisti, osservava Stajano, non sono soltanto i giovani che, ribellandosi ai padri, si trasformano in spietati serial-killer, ma anche i governanti succubi di una malintesa ragion di Stato.
Dodici anni più tardi, egli stesso avrà modo di contemplare da vicino le maschere del potere nostrano, in qualità di senatore progressista della XII legislatura (1994-96). Ne sortirà uno splendido e straniante diario, Promemoria, pubblicato nel 1997 con un sottotitolo inequivocabile: Uno straniero in patria tra Campo de’ Fiori e palazzo Madama. Un altro libro che andrebbe riscoperto è Il disordine (1993), che coglie la società italiana in piena Tangentopoli, colma di paure ma anche di speranze presto infrante.
Nei suoi primi lavori, Stajano ha sempre scansato la prima persona, preferendo celarsi dietro alcune vite esemplari (si vedano anche i sessanta ritratti raccolti in Maestri e infedeli, 2008). Con il nuovo secolo, tuttavia, qualcosa è cambiato. Nel 2001 Stajano ha disseppellito le proprie divaricate radici (la madre lombarda, il padre siciliano), Patrie smarrite difficilmente ricomponibili anche in questo suggestivo nostos, ambientato tra la Cremona di Farinacci e la Sicilia dello sbarco alleato.
Poi, nel 2013, La stanza dei fantasmi, l’opera sua più ambiziosa e riepilogativa, nella quale i tanti oggetti accumulati nel corso di una vita sembrano animarsi, con il loro fardello di memorie perdute e di luoghi sanguinanti: dalla Grecia dei colonnelli sino alla Palermo «dei morti ammazzati», dove ogni strada ricorda un magistrato o un poliziotto uccisi dalla mafia. Infine, nel 2017, con Eredità Stajano ha rievocato la «tragica estate mascherata di serena letizia» del ’39, quando – Figlio della Lupa – viveva con la famiglia sulle rive del Lario. Alla fine del memoir, l’adolescente cresciuto troppo in fretta si affaccia sulla Milano devastata del 1945, in una catarsi onirica e visionaria.
A Milano, teatro di molte delle sue storie, Stajano ha dedicato nel 2009 un intero libro, La città degli untori(premio Bagutta 2010), popolata di anime inquiete riportate in vita dall’autore durante le sue peregrinazioni da flâneur. Talora questi spettri rimandano a corpi dolenti, in attesa di riscatto. I cadaveri smembrati di Piazza Fontana (lo scrittore fu uno dei primi, dopo lo scoppio della bomba, a varcare la soglia della banca). I corpi seviziati di Villa Triste, dove gli sgherri repubblichini della banda Koch torturavano i prigionieri. Il cadavere trucidato e poi dato alle fiamme di Giangiacomo Mora, il barbiere della secentesca «colonna infame». Altre volte i fantasmi sono gli ultimi testimoni d’un mondo perduto, come gli operai di Sesto San Giovanni, l’ex «Stalingrado d’Italia», con il suo paesaggio lunare di capannoni dismessi e scheletri d’acciaio, dietro ai quali svettano le gru degli speculatori. Altre volte ancora echeggiano le voci dei pochi eroi che hanno onorato la città, come il giudice istruttore Guido Galli, assassinato dai terroristi all’Università Statale; o come l’ormai dimenticato Giulio Alonzi: luogotenente di Parri nella Resistenza, poi «ospite» di Villa Triste, infine vice di Mario Borsa ai tempi della sua burrascosa direzione al «Corriere» (1945-46). Tutti personaggi schivi, accomunati da un’adesione non plateale a valori civili oggi desueti.
In quello stesso libro di dieci anni fa, Stajano – che fu sempre ben accolto nello studio del banchiere Raffaele Mattioli in Piazza della Scala – rimpiange l’antica Milano crocevia della borghesia liberale, del cattolicesimo sociale e del socialismo riformista. La metropoli dei grattacieli e boschi verticali in costruzione gli ricorda invece la «città degli untori» che, nel Seicento, occultava i bubboni marci della peste sotto orpelli dorati. Quasi un presagio, visto che è bastato un virus trasmesso da un pipistrello per incriminare il mito di Milano che non si ferma.
Sei libri di Corrado Stajano sono ora disponibili nel catalogo del Saggiatore