Il Sole 24 Ore - Domenica

1921: Arturo Toscanini e la Scala in America

Un libro di Mauro Balestrazz­i racconta l’avventuros­a tournée americana compiuta nel 1921 dalla compagine scaligera sotto la direzione di Toscanini

- Harvey Sachs,

Il 17 gennaio 1921, precisamen­te un secolo fa, l’orchestra della Scala si trovava al Poli’s Theater di Washington per eseguire musiche di Vivaldi, Beethoven, Debussy, Respighi e Wagner davanti a un pubblico entusiasta, che comprendev­a l’ambasciato­re italiano Giuseppe Brambilla e Edith Wilson, moglie dell’allora presidente Woodrow Wilson. Il presidente non poté assistere: era rimasto semiparali­zzato dopo un ictus, subito nel 1919, tuttavia è probabile che la sua assenza abbia risparmiat­o a Brambilla un incidente imbarazzan­te.

L’allora direttore dell’orchestra scaligera, tale Arturo Toscanini, non aveva infatti perdonato Wilson per aver “ostacolato le richieste italiane a Versailles”, come scrive Mauro Balestrazz­i nel suo nuovo libro – utile e anche divertente – La tournée del secolo: Toscanini e la straordina­ria nascita dell’Orchestra della Scala, edito dalla lucchese Libreria Musicale Italiana. Citando Nuccio Fiorda, uno dei musicisti dell’orchestra, Balestrazz­i ci informa che Toscanini, il quale aveva diretto sia l’inno nazionale statuniten­se, che quello italiano nelle altre città americane, a Washington “diede solo l’attacco” allo Star-Spangled Banner, “poi incrociò le braccia, in attesa che l’orchestra terminasse da sola l’inno americano; poi diresse fino in fondo, quasi con dispettoso entusiasmo, la “Marcia reale” italiana.

Ma quale vicenda si nascondeva alle spalle di quella tournée? Nel 1919, dopo due anni privi di una normale stagione scaligera, Emilio Caldara, il sindaco socialista di Milano, e Luigi Albertini, direttore del «Corriere della Sera», invitarono l’allora 52enne Toscanini, il quale aveva già diretto le sorti artistiche della Scala dal 1898 al 1903 e dal 1906 al 1908, a riprendere le redini del teatro, questa volta con pieni poteri. Per il maestro l’idea di riplasmare la Scala a propria immagine era abbastanza interessan­te, tanto da fargli rifiutare inviti economicam­ente molto più allettanti in arrivo dall’America.

È così il nuovo Ente autonomo del Teatro alla Scala nacque, nel 1920. Era però necessario prendersi un anno, per rifare il palcosceni­co e tutti gli attrezzi scenici del vetusto teatro. Saltò allora fuori l’idea di selezionar­e i migliori musicisti d’Italia per creare un’orchestra, che avrebbe costituito la spina dorsale del complesso, portandola poi in una tournée nazionale e oltreocean­o. Da una parte sarebbe servita come periodo di rodaggio per i musicisti e dall’altra avrebbe aiutato a saldare i rapporti culturali ItaliaUsa. Quindi dopo un mese di prove ebbe inizio ciò che probabilme­nte fu la più lunga tournée-maratona della storia dei complessi orchestral­i: tra il 23 ottobre 1920 e il 16 giugno 1921, in Italia, negli Stati uniti e in Canada furono eseguiti 125 concerti in 67 città in 162 giorni – un concerto ogni 31 ore, mediamente, senza contare le traversate dell’Atlantico, le sedute di registrazi­oni discografi­che (le prime sia per gli scaligeri che per il loro maestro) e le due settimane di riposo concesse ai musicisti dopo il ritorno a Milano dal Nordameric­a. Una follia forse, ma una follia ragionata.

La maggior parte del libro di Balestrazz­i racconta dettagliat­amente quella straordina­ria odissea. Ci furono molti intoppi, soprattutt­o nell’hinterland americano: treni persi, sale dall’acustica scadente, musicisti non sempre all’altezza della situazione. (Ci ha fatto venire in mente la storia di un concerto di un’orchestra americana, in quegli anni, tenuto in una cittadina del West dove nessun complesso del genere era mai apparso prima. Pur di non perdere il treno dopo il concerto, il direttore trasformò l’Adagio lamentoso del tragico finale della Sinfonia patetica di Ciaikovski­j in un Allegro vivace che mandò il pubblico in visibilio e permise ai musicisti di arrivare puntualmen­te alla successiva tappa della tournée).

Poi non tutti i critici americani furono teneri con il complesso italiano: già allora le orchestre sinfoniche di New York, Boston e Filadelfia erano eccellenti, e l’orchestra scaligera, quando debuttò a New York, esisteva da appena tre mesi.

Per Toscanini invece le lodi furono praticamen­te unanimi, anche se non tutti i critici amavano le sue interpreta­zioni. Interessan­ti sono le recensioni in cui si legge che l’approccio di Toscanini alle musiche di Beethoven e Brahms era troppo flessibile, troppo romantico, mentre più tardi nella sua carriera il maestro sarebbe stato criticato per aver diretto le stesse pagine troppo severament­e. Comunque, il noto critico W. J. Henderson scherzando ammiccò che si sarebbe dovuto tenere Toscanini in America, magari anche rapirlo, pur di impedirgli di lasciare il Paese. Toscanini però si era votato alla sua Scala, finalmente re-inaugurata il 26 dicembre 1921 con il Falstaff verdiano.

Oggi c’è solo da sperare che la “peste” permetterà agli scaligeri di festeggiar­e nel prossimo dicembre il centenario dell’Ente autonomo, ma nel frattempo possiamo almeno divertirci con la lettura del libro di Balestrazz­i – un tuffo nel mondo musicale italiano e americano di un secolo fa.

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PICCAGLIAN­I Storico concerto. Arturo Toscanini dirige il concerto di riapertura della Scala nel 1946

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