Le chiavi di accesso ai simboli alchemici
Al Museo del Prado di Madrid è conservato un piccolo quadro di Hieronymus Bosch, un olio su tavola che il pittore avrebbe dipinto intorno al 1494, dal titolo Estrazione della pietra
L’opera rappresenta uno sciocco che si sta facendo levare dal cranio da un gabbamondo, appunto, la “pietra della follia”. Un monaco e una suora assistono: il primo tiene in mano una brocca d’argento, l’altra ha un libro sulla testa; il chirurgo ciarlatano, invece, usa come copricapo un imbuto, ovviamente rovesciato. In alcuni dipinti di Bosch tale oggetto indica la pazzia.
C’è un’altra interpretazione del quadro e si deve a Jacques van Lennep. È storico dell’arte e uno dei massimi esperti di alchimia, membro dell’Accademia Reale Belga. Sostiene che Bosch rappresentò qualcosa di diverso, senza ironia e non certo utilizzando echi di storie popolari. Basandosi «sui colori e sui dettagli», ritiene che l’opera sia «ispirata al simbolismo della “pietra encefala”»; del resto, nel Corpus ermetico, una delle più autorevoli raccolte esoteriche a noi pervenute, si raccomanda di «prendere il cervello», perché esso «è la dimora della parte divina». O, se si desidera, della pietra filosofale.
Non è possibile riprendere tutti i particolari evidenziati da van Lennep, ma chi desiderasse conoscerli ha ora a disposizione la sua opera maggiore, intitolata Alchimia, appena tradotta dalle Edizioni Mediterranee. Bosch non è il solo caso considerato. Per rimanere in ambito artistico, lo studioso belga prende in considerazione la Sibilla chimica di Lorenzo Lotto, un affresco del 1524 che si trova a Trescore (Bergamo) nella Cappella Suardi.
Un intero capitolo dell’opera di van Lennep tratta tali temi, ricordando “l’alchimista” Jan van Eyck, gli aspetti ermetici del Parmigianino o di Bruegel o cosa s’intende con la locuzione “nozze chimiche”. Il libro è inoltre un repertorio formidabile d’immagini, molte delle quali sconosciute o addirittura inedite. Del resto, una parte è dedicata all’inventario dei manoscritti alchemici, in particolare a quelli appartenuti a Cristina di Svezia, che li «aveva ottenuti dai saccheggi delle truppe svedesi in Europa durante la guerra dei Trent’anni e dall’imperatore Rodolfo II, che non solo attrasse a Praga gli alchimisti più famosi e ne incoraggiò le ricerche, ma aveva messo assieme un’importante biblioteca esoterica». Altre immagini e notizie sono dedicate alla pietra filosofale: l’autore la cerca anche in quegli scrigni di allegorie che sono le cattedrali, dove gli alchimisti erano a loro agio. In tal caso van Lennep parte da un testo che fu pubblicato nel 1754, un secolo dopo la sua redazione, vergato da Esprit Gobineau de Montluisant. Titolo: Enigmi delle figure geroglifiche, fisiche che si trovano nel Grande Portale della Chiesa Cattedrale Metropolitana di Notre-Dame di Parigi.
Sei fitte pagine sono inoltre dedicate al repertorio dei simboli alchemici utilizzati nei secoli, dal sale alla terra al vetro, via via sino ai diversi tipi di argento e oro o alla pietra filosofale (uno di essi è costudito in un messale bizantino). Ci sono oltre mille illustrazioni a corredo di quest’opera, una raccolta costata infinite ricerche e senza paragoni.
L’alchimia oggi è intesa da taluni come stravaganza, tuttavia per millenni ha testimoniato che l’esperienza scientifica è spirituale oltre che pratica. E chi sorride per questa ricerca dell’oro, potrebbe rileggere lo Specchio d’alchimia di Ruggero Bacone (XIII secolo), in cui si ricorda che il prezioso metallo è la perfezione della natura, mentre altri celati nelle viscere terrestri subirono «incidenti che ne ostacolarono lo sviluppo».