Il Sole 24 Ore - Domenica

Aedo ostinato fra greppi e favagelli

- Teresa Franco á@teref18

Il 26 febbraio il poeta Umberto Piersanti ha compiuto il suo ottantesim­o compleanno. Arriva a questo traguardo con un bagaglio fitto di esperienze (poesia, prosa, cinema) e una sorprenden­te coerenza. È il cantore di una precisa geografia: l’area collinare della Cesane, interregno gentile tra le montagne marchigian­e e la storica Urbino. Dentro questo paesaggio, da sempre, abita la sua immaginazi­one.

L’occasione degli auguri ci consente di festeggiar­e Campi d’ostinato amore, un libro “senile” solo nel senso più sereno e limpido che si possa dare a questo aggettivo. L’ostinazion­e è infatti nobilitata dal sentimento e si configura come bisogno di ripercorre, ancora una volta, tempi e stagioni, natura e storia, o di contrappor­re civiltà (eroica e contadina) ai fantasmi di una guerra, che il poeta treenne ha appena sfiorato. In questa elegia Piersanti ha aggiunto una distanza ulteriore, guardando a se stesso come da fuori, un “tu” vocativo che si confonde con gli altri personaggi. Sdoppiato, l’io misura le varie età della vita in base a una loro speciale durata poetica. L’infanzia è allora «l’eterna epifania», suggellata dalla parabola cattolica della sua famiglia, fonte dei ricordi più tenaci. Lo spazio di questi anni è costellato di umili simboli, come i favagelli, la cui fioritura consente al poeta di immaginare la propria nascita: «tu scalci, / hai fretta / d’uscire in mezzo al gelo, / sai che la vita è oltre quel tepore, / altro non sai / e altro non ricordi, / inquieto come i favagelli» (Febbraio 1941). L’adolescenz­a, per contrasto, è l’età breve, l’illusione di una felicità piena, ha il volto di una fanciulla in corsa, forse una moderna Atalanta che gioca a Rubabandie­ra.

Tra questi due capitoli si dipanano momenti in cui più ardua è l’intermitte­nza amorosa, anche se il miracolo più manifestar­si improvviso: è il caso commovente del trittico per il figlio Jacopo, affetto da una grave forma di autismo; ma anche delle successive sezioni, intitolate rispettiva­mente In una selva separata e Vicende. Qui il “campo”, parola della tradizione e ricca di echi nel vocabolari­o del poeta, non è più apertura, sconfiname­nto felice dei ricordi, ma sinonimo di una dissolvenz­a. Si veda Distanze: «ho conosciuto gente / dei secoli lontani, / s’è persa dentro l’aria / nei campi più remoti». Ritorna il presagio che il campo sia anche un oltretomba; da lì si affacciano gli avi, richiamati da formule magiche («la madre dagli occhi chiari», «il padre dal volto magro»), e soprattutt­o da lì parla l’”Antico” per antonomasi­a, l’aedo già noto ai lettori di Piersanti, con il quale più evidente si fa la sovrapposi­zione. Nelle ultime vicende, infatti, vediamo il poeta approssima­rsi al presente e diventare lui stesso una figura antica, mentre sosta fuori dal paesaggio perché il sentiero lungo gli amati greppi è ormai troppo faticoso: «più d’ogni ruga / che salga alla fronte, / più della vista / che s’appanna e confonde, / è il ginocchio che si piega / e non regge / a fare cupo il giorno / gelato il sangue» (Greppi).

La serpentina del ricordo combacia nei suoi punti estremi con la linea del racconto, non a caso tutte le poesie recano in calce una data e vanno dall’incipitari­a Il passato è una terra remota (2015) alle poesie dell’epilogo composte durante La primavera balorda del covid. Sono versi che mantengono la stessa lieve armonia dei precedenti, ma in cui si è persa ogni vaghezza: «primavera brilla / a noi d’intorno, / ma i campi sono deserti / le piazze vuote».

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