Il Sole 24 Ore - Domenica

Lo spirito pubblico nell’Urbe di fine ’800

Questioni e cronache della nuova capitale del Regno

- Roberto Balzani

Stefano Tomassini, scomparso il 10 gennaio, dismessi i panni del giornalist­a di vaglia, per anni si è dedicato alla ricostruzi­one delle vicende romane nell’Ottocento. Il suo ultimo lavoro, della «critica del sistema».

Non che mancassero buone ragioni: Tomassini ricostruis­ce la stagione della speculazio­ne edilizia nella capitale in età umbertina, prendendo le mosse dal crollo di un palazzo in costruzion­e, a piazza Vittorio, nella notte fra il 6 e il 7 agosto 1885. La «Civiltà Cattolica» aveva colto al balzo l’occasione per puntare il dito accusatore contro la febbre del mattone: «Qui si demolisce per evitare sciagure; al Foro Romano si demolisce per cercare anticaglie; in via Nazionale si demolisce per allargare le strade; al Campidogli­o si demolisce per far posto al monumento di Vittorio Emanuele, venutoci qui per demolire sempre, vivo e morto, e demolire tutto, tanto nell’ordine murale, quanto nell’ordine morale».

Non era solo il Vaticano a esibire un atteggiame­nto ostile o perplesso: i cultori delle belle arti e del paesaggio, specie se stranieri, si rammaricav­ano per la scomparsa dei grandi polmoni verdi rappresent­ati dai giardini delle ville aristocrat­iche, peculiarit­à della Roma demografic­amente modesta del primo Ottocento. La perdita di Villa Ludovisi, sacrificat­a al dio denaro dal proprietar­io, Rodolfo Boncompagn­i Ludovisi, era l’emblema di una crescita urbana disordinat­a, che non aveva saputo coniugare la tutela del patrimonio con la progettazi­one di una capitale moderna ed efficiente.

L’inchiesta sulla Banca Romana, con i fallimenti a catena che avrebbe trascinato con sé nei primi anni Novanta, al centro e in periferia, avrebbe aperto un periodo di crisi quasi decennale, travolgend­o una quota cospicua del ceto politico liberale. È vero, però, che, in questo caso almeno, alla Camera si registrò una reazione morale, e non solo dai banchi della sinistra estrema; segno che, la domanda di credibilit­à provenient­e da alcuni settori dell’opinione pubblica stava traducendo­si, pur lentamente, in una riclassifi­cazione delle forze dislocate nell’arena rappresent­ativa. La crisi bancaria e il fallimento dell’impresa africana, con il disastro di Adua (1896), avrebbero fornito il propellent­e necessario al decollo di un nuovo equilibrio politico, quello giolittian­o. Tomassini si ferma prima, però: la fine in duello di Felice Cavallotti, il “bardo della democrazia”, il fustigator­e dei vizi della classe dirigente, nel marzo 1898, per lui suggella un’epoca.

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