Lo scienziato, la pupa e il formicaleone
Giorgio Vallortigara ha trascorso la vita studiando gli insetti e i loro «cervelli in miniatura». Ora Adelphi raccoglie i suoi pensieri
ARovereto, sessantun anni fa, è nato Giorgio Vallortigara. Ci è tornato dopo trentacinque anni di assenza, ormai trasformato in uno scienziato famoso. Professore dell’Università di Trento è coordinatore di uno dei più importanti laboratori al mondo per lo studio del funzionamento dei cervelli in miniatura. Cervelli come quelli di vespe, mosche, moscerini, e insetti vari, con pochi neuroni rispetto agli ottantasei miliardi di neuroni di Homo Sapiens. Le api, con meno di un milione di neuroni, sono in grado di produrre processi mentali complessi, paragonabili a quelli umani. Come si sia giunti a stabilire il numero esatto dei neuroni di un cervello è una impresa scientifica interessante a cui è dedicato un passaggio del libro. Questo, e molto altro, in un saggio dalla scrittura limpida e lineare. Solo il titolo è criptico: non svelo il segreto, ma la testa della mosca non è storta bensì ruotata.
L’attacco del libro è fulminante. A sette anni Vallortigara trova, insieme a un amico, delle cavità coniche nel terriccio più fine del giardino. Il compagno prende una formica tra le dita e la lascia cadere in una di queste buchette. L’animale atterra sul fondo e cerca subito di risalire. Ma è difficile, le pareti sono ripide e franose. Dal fondo della cavità qualcosa inizia a muoversi lanciando sabbia. La formica, colpita dalla sabbia, ricade nell’imbuto. Sprofonda, si muove convulsamente, dopo un po’ si vede solo il capo. Poi la formica sparisce del tutto. Un formicaleone l’ha catturata. Dopo qualche minuto riemerge dalla sabbia solo l’esoscheletro di chitina. Il formicaleone si è nutrito dei succhi della formica.
Il formicaleone in realtà era una larva che sarebbe diventata una pupa per trasformarsi, da adulta, in una sorta di libellula (lo si vede in una delle tante perfette immagini).
Ha osservato Lao Tzu, il filosofo taoista, «ciò che il bruco chiama la fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla». Ventisei secoli dopo, Vallortigara si domanda: «Dal punto di vista del bruco è veramente la fine del mondo? La metamorfosi produce un organismo dimentico del suo passato?». Quando il formicaleone svolazza cercando una compagna, per morire poco dopo averla trovata ed essersi accoppiato, che cosa ricorda della sua giovinezza da larva?
La questione è stata studiata servendosi di scarafaggi. Questi animali rifuggono la luce. Per accorgersene basta accendere una torcia in una stanza piena di scarafaggi e osservare il fuggi fuggi. Potete addestrare le larve di scarafaggio servendovi di un labirinto a forma di T. Solo alla fine di un braccio della T c’è il cibo. Ogni volta che la larva imbrocca il braccio sbagliato si accende una luce che funge da punizione. Se invece entra nel braccio giusto tutto resta buio. Per metà degli animali il braccio giusto è quello di destra, per l’altra metà quello di sinistra. Le larve imparano gradualmente a scegliere il braccio giusto. Si tratta di un processo di apprendimento pavloviano, ottenuto grazie a ripetute associazioni a premi (buio) e punizioni (luce). Quando le larve si sono trasformate in scarafaggi potete rifare la stessa prova. Scoprite così che le scelte corrette, apprese prima della metamorfosi, non sono state dimenticate. Lao Tzu aveva torto. La metamorfosi della larva non è proprio la fine del suo mondo.
Molti degli esperimenti raccontati da Vallortigara con gli animali dai cervelli miniaturizzati corroborano una tesi originale e affascinante sulla nascita della coscienza. Per capire tale origine, il celebre neuropsicologo Le Doux ha allargato la prospettiva temporale. Ha ripercorso a ritroso la storia della nostra specie arrivando fino a LUCA, il comune antenato di quattro miliardi di anni fa.
Vallortigara allarga invece lo spazio delle possibilità, cercando la genesi della coscienza nei cervelli in miniatura. In sintesi, la coscienza nasce dalla necessità di distinguere tra la stimolazione prodotta dall’attività di un organismo e la stimolazione proveniente dal mondo, fuori di lui. L’innesco va ritrovato nei processi interni che si definiscono in modo attivo rispetto all’esterno. Questa tesi, coerente con i dati di molti esperimenti, produce un’altra ipotesi sulla funzione di tutti quei miliardi di neuroni umani in eccesso rispetto a quelli di un insetto: servono per ampliare la memoria. L’evoluzione ha selezionato nell’uomo un cervello ricco di neuroni in assenza di specializzazioni in compiti diversi e, quindi, di rigide divisioni del lavoro. Quanto più una società è gerarchica e frammentata
Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) e l’Opticks (1704), fu anche un appassionato studioso di alchimia e di teologia.
Il libro di Niccolò Guicciardini, riconosciuto esperto dell’opera newtoniana, prende le mosse proprio da qui, dalla consapevolezza appunto di come la storiografia sia rimasta intrappolata in un siffatto caleidoscopio di immagini. E per venirne fuori si è dato un compito piuttosto ambizioso e quanto mai riuscito: «ricomporre a unità» quelle immagini apparentemente inconciliabili. Guicciardini tratteggia con mano sicura un’agevole biografia intellettuale di Newton, illustrando come i diversi interessi che egli coltivò costituissero parti integranti di una ben precisa visione del mondo. Che rifletteva ovviamente la sua sensibilità, il suo peculiare modo di affrontare e di risolvere i problemi, ma anche la sua formazione, le letture, gli interlocutori e quindi il clima culturale in cui visse.
Nel ripercorrerne la vicenda umana e intellettuale, opportunamente inserita nel travagliato contesto storico, politico e religioso dell’Inghilterra del XVII secolo, Guicciardini spiega in compiti precisi e immutabili, come nel caso delle api, tanti meno neuroni sono necessari a chi la fa funzionare.
Vallortigara ricorda che ci sono persone eccezionali nel riconoscere i volti e persone che non ne sono capaci. Queste ultime non sono malate, sono soltanto all’altro estremo del continuum della capacità in questione. Un cervello che, invecchiando, perde neuroni e si miniaturizza non è malato. Non è afflitto da una malattia con una causa precisa, come il Covid, bensì da un normale decadimento cognitivo che avviene con velocità diverse da persona a persona.
Partendo dai modi di funziona
Vallortigara felix. Lui, a differenza dell’émigré Nabokov, dopo la metamorfosi in scienziato è potuto tornare nella sua città. Non ha dimenticato l’esperienza di quando aveva sette anni a Rovereto, luogo magico secondo Edmondo Berselli, un altro grande roveretano. Rovereto, dove il tredicenne Mozart, l’unico che fin dalla nascita volò subito come farfalla saltando la fase larvale, tenne il concerto del Natale 1769, evento europeo. Farfalle, insetti, passioni giovanili, amori poi di tutta una vita. Quando, a casa sua, Vallortigara sente il crepitare dei granelli di sabbia smossi dai formicaleoni che gli fanno compagnia, allora il mondo è il più perfetto dei mondi possibili.