Le rivendicazioni dell’albero
Una pratica innovativa è considerare persone giuridiche alcune entità naturali come i fiumi, le foreste, gli oceani: molte le implicazioni e di tutti i tipi, anche psicologiche
L’ambiente è ormai nella mente di tutti, la preoccupazione è grande; ma se da decenni la richiesta è di una maggiore protezione, o di un cambiamento radicale dei nostri comportamenti, in entrambi i casi non si vedono risultati all’altezza della crisi. Da un lato la protezione è pensata come creazione di riserve, di zone protette, soggetta quindi a estenuanti negoziati, e talmente eccezionali da giustificare a loro volta miriadi di eccezioni; d’altro lato il comportamento individuale è un obiettivo distorto, va bene sentirsi in colpa perché non si ricicla abbastanza plastica, ma forse si dovrebbe produrre meno plastica tanto per cominciare, no?
Di fronte all’enormità del problema negli ultimi decenni si è messa in cantiere una pratica innovativa che porta a considerare alcune entità naturali come persone giuridiche, dagli alberi (si pensi al bellissimo libro di Christopher Stone Do trees have a standing?: Law, Morality, and the Environment, Third Edition) agli specchi d’acqua ai fiumi, con controversie teoriche e pratiche che hanno implicato il premio nobel per l’economia Kenneth Arrow, la giurista Marie-Engèle Hermitte, e molti altri. Dotati di personalità giuridica, gli esseri non umani possono venir difesi in tribunale, intentare cause, come possono farlo le ditte e le corporazioni che non sono persone ma che lo diventano agli occhi del diritto. (La controprova dell’effetto percepito come irreversibile della legge è la velocità con la quale riguardo a Marte si son messe le mani avanti, gli interessi commerciali han subito fatto sentire la loro voce dichiarando che non ci sono autorità governative terrestri che possano rivendicare un’autorità sul pianeta rosso, e che le dispute eventuali verranno risolte «in buona fede» quando se ne presenterà l’occasione.)
Il lavoro di Sacha Bourgeois-Gironde, nel suo Être la rivière: Comment le fleuve Whanganui est devenu une personne vivante selon la loi (Presses universitaires de France) mostra la complessità e gli esiti promettenti di questo processo. In alcuni casi alla base vi sono rivendicazioni territoriali e etniche, contenziosi post-coloniali: gli abitanti autoctoni del bacino del fiume Whanganui in Nuova Zelanda, cui è stata attribuita personalità giuridica nel 2017, riscattano l’indebita «cessione» della loro terra alla Corona britannica con un gesto che non è solo compensazione o riattribuzione di diritti di proprietà, ma ripensamento del rapporto tra essere umano e ambiente, che come tale richiede e coincide con un profondo lavoro concettuale, una nuova ontologia. Il fiume non è più e non soltanto una massa d’acqua o il suo letto o un bacino orografico o un ecosistema: è antenato e persona, possiede se stesso.
Si può andare ancora più lontano, con uno sguardo a pratiche di altre culture. Nei miti di fondazione Maori, l’inversione della prospettiva temporale è radicale e sconcertante: parlando della Whanganui, Bourgeois-Gironde osserva che i «Maori si considerano legati al loro intero ambiente naturale da legami di parentela derivanti dalla loro ascendenza genealogica da Rangi e Papa, la coppia primordiale. E poiché il mondo è stato dato a costoro non dai loro genitori, ma dai loro figli, ogni generazione continua a vedere le proprie responsabilità verso il fiume come un debito che si estende a sette generazioni successive». Il mito scompagina l’idea patrimoniale di un pianeta che possediamo in quanto ricevuto in eredità dai nostri genitori e antenati. Allineandosi con una metafisica del «futuro che si restringe» mostra con forza che con la tua vita e le tue attività stai occupando lo spazio di altri – e lo spazio che altri e ancora altri occuperanno dopo di te.
Il concetto stesso di fiume viene rinegoziato profondamente per permettere la creatività legislativa, e a questo punto la legge può difenderlo in un modo nuovo. Lo scavo e l’ingegneria concettuale permettono di andare al di là delle nozioni di risorsa e di bene comune, della dialettica tra sfruttamento sordo e conservazione cieca. Se l’esito è ancora incerto, il processo è profondo e liberatorio, ed è comunque evidente l’articolazione tra ripensare il fiume per permettere la legge, e creare la legge per ripensare il fiume.
Tutti i fiumi portano al mare: possiamo applicare questa strategia al mare, che è l’entità naturale più importante per la vita sulla terra? Per esempio, fare dell’oceano una persona una e indivisibile? Le divinità maggiori dell’antichità occidentale, Teti, Oceano, sono stranamente distanti, forse inadeguate al ruolo, con le loro psicologie capricciose; ma una psicologia è a volte meglio di nessuna psicologia.
Secondo Victor David, che ha proposto esplicitamente di dare personalità giuridica all’oceano, il primo vantaggio di considerare l’oceano come una persona ed eventualmente di pensarlo dotato di una psicologia per quanto bizzarra, è che lo si tratterebbe come uno, come di fatto è e come è importante che venga ricordato. Se si è dovuto faticare a riconcettualizzare un fiume, un lavoro ancora più importante ci aspetta se vogliamo attribuire una personalità al mare. Ovvero, molti passi intermedi saranno necessari nel caso di quest’ultimo. Ci sono diversi problemi: di scala, di delimitazione dei confini, di mancanza di una popolazione di riferimento.
Come per altre estensioni di diritti, si deve soprattutto vincere l’inerzia concettuale che ci mette di fronte una parola, già sottolineata da Stone: è «impensabile». La storia insegna che l’impensabile può divenire realtà: si sono conferiti diritti alle agli schiavi, agli stranieri, alle donne, agli animali, alle chiese, alle società per azioni, agli stati. Tutte entità o persone che a un certo punto erano senza diritti o invisibili per la legge; quello che oggi è inimmaginabile domani sarà dato acquisito, ma il percorso non è mai stato facile.
The Science and Myth of Galileo between 17th and 19th centuries in Europe (Olschki, pagg. IX, 502, € 52). Tra gli autori
che hanno collaborato al volume, Paolo Galluzzi, Massimo
Baioni, Andrea Battistini, Michele Camerota, Franco Giudice, Isabelle Pantin, Marta
Stefani
Nel caso del mare ci sono problemi
di scala e di delimitazione
dei confini