«Commedia» delle immagini
Il poema non è solo ricco di descrizioni «pittoriche» e di richiami alla cultura figurativa del suo tempo, ma ha ispirato nei secoli dipinti, miniature, disegni, incisioni e fumetti. Fino alla videoarte
Che cosa ci racconta la Commedia di Dante? Un sogno o una visione profetica ispirata da Dio? Un’esperienza reale oppure una invenzione poetica carica di significati che chi legge è invitato a decifrare? È una domanda di base, spesso trascurata dai manuali, che via via si è riaffacciata nella critica. E ha affascinato un poeta come Thomas Stearns Eliot, che ha risposto così: «L’immaginazione di Dante è visiva... è visiva nel senso che egli viveva in un’epoca in cui gli uomini vedevano ancora visioni... Noi non abbiamo che sogni».
Certo Dante vuole che lo accompagniamo, passo passo, nel suo viaggio, che vediamo con lui quello che ci racconta e ci descrive, vuole che insieme a lui ci facciamo trasformare, che proviamo paura, orrore, pentimento, e poi amore, dolcezza indicibile, trasfigurazione e estasi. Se il poema è memoria di una esperienza, si tratta di una memoria carica di passioni: la paura segna l’inizio del viaggio e perdura nella sua rievocazione, lascia la sua impronta nel racconto: «Ahi quanto a dir qual’era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura!» (Inferno I,4-6).
E ancora le emozioni - la dolcezza, il godimento - saranno, alla fine del Paradiso, i segni veritieri, le tracce sicure di una esperienza che si è vissuta ma che le parole non riescono a dire, perché la memoria viene meno davanti a tanto “oltraggio”, e cioè all’eccesso, alla dismisura che la visione di Dio comporta: «...quasi tutta cessa/ mia visïone, e ancor mi distilla/ nel core il dolce che nacque da essa. (Paradiso, XXXIII, 61-63). E poco dopo: «La forma universale di questo nodo/ credo ch’i’ vidi, perché più di largo,/ dicendo questo, mi sento ch’i’ godo». (Paradiso, XXXIII, 91-93).
Per questo è essenziale che noi “vediamo” quel che Dante vede. Il poema è anche un’educazione dello sguardo, a “ficcare gli occhi”, a “guardare fisso”, a indirizzare gli occhi del corpo così che imprimano nella mente quello che è essenziale, e che magari si nasconde: «Ma guarda fiso là, e disviticchia/ col viso quel che vien sotto a quei sassi» (Purgatorio, X, 118-119) dice Virgilio a Dante quando lo invita a riconoscere i corpi dei superbi, sfigurati dal loro procedere curvi a terra, oppressi dal macigno che devono portare. Bisogna saper
Dante Gabriel Rossetti, Giotto dipinge il ritratto di Dante, 1852, Andrew Lloyd Webber Collection vedere, ritrovare la figura umana, quella che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza e che il peccato deforma, fino a renderla irriconoscibile.
Le immagini hanno dunque un ruolo essenziale nella Commedia. Il poema dà spazio ai protagonisti della pittura e della miniatura contemporanea e si nutre largamente della memoria delle opere che Dante aveva visto a Firenze e nella sua peregrinazione per l’Italia: ce ne offre una ricca documentazione il bel libro di Laura Pasquini, Pigliare occhi, per aver la mente. Dante, la Commedia e le arti figurative, pubblicato recentemente da Carocci editore. Ma c’è qualcosa di più. Il linguaggio delle arti visive penetra dentro la lingua del poema. Le emozioni ad esempio dipingono il volto dei protagonisti, come quando Beatrice sorride dopo aver spiegato le gerarchie angeliche e ha il «volto di riso dipinto» (Paradiso, XXIX, 7); il sole dipinge le nuvole (Paradiso, XXVII, 29) e le stelle a loro volta dipingono il cielo (Paradiso, XXXIII, 27). I procedimenti della pittura possono essere rievocati per rappresentare il lavoro del poeta, come nell’incontro con Stazio, che rende grazie a Virgilio: «Per te poeta fui, per te cristiano:/ ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,/ a colorare distenderò la mano» (Purgatorio, XXII, 73-75).
La parola del poeta si confronta col visibile, tende a superare i confini, fino a misurarsi col miracolo del “visibile parlare”, là dove descrive le sculture che Dio ha creato nel girone dei superbi, per porre davanti agli occhi dei penitenti esempi di umiltà e di superbia: «colui che mai non vide cosa nova/ produsse esto visibile parlare,/ novello a noi perché qui non si trova». (Purgatorio, X, 94-96).
Dio è l’autore di quelle opere, ma la parola del poeta ci trascina a guardare quelle immagini che sembrano prendere vita, fino a travolgere i nostri sensi: si ascoltano le parole che si vedono intagliate negli “atti”, nei gesti dei personaggi; si sente il profumo degli incensi mentre guardiamo Davide che danza davanti all’arca santa; il dialogo fra la vedovella e Traiano ci fa rivivere l’esperienza del dialogo teatrale, appunto quello in cui la parola prende corpo e forma, in cui gli attori creano, come aveva detto sant’Agostino, verba visibilia, parole visibili. Nel momento in cui esalta il “visibile parlare” di Dio, che tiene insieme i contrari, Dante ci invita a guardare proprio in questa chiave quel che lui sta facendo, ci offre insomma una vertiginosa definizione del suo poema.
Dante, il cantore del “visibile parlare”, è in fondo già in competizione con tutti coloro che a partire da subito, nel 300, quando la sua opera è da poco finita, su su attraverso i secoli, fino ai nostri giorni, illustrano il suo poema, lo traducono, lo commentano, lo tradiscono attraverso le immagini. La fortuna della Commedia nelle arti visive è davvero un mondo sconfinato, in continuo e ribollente divenire. Ce ne siamo accorti quando, anni fa, abbiamo iniziato a lavorare al libro che qui presentiamo, La Commedia di Dante nello specchio delle immagini. Nell’intrico indissolubile dei vari sentieri, abbiamo cercato alcune linee, abbiamo tracciato alcuni percorsi: dalle miniature trecentesche a quelle che ornano lo splendido codice che Federico da Montefeltro volle per la sua biblioteca, all’intreccio fra disegno e libro illustrato che si realizza nell’età della stampa (Sandro Botticelli ne è un esempio significativo), alla fortuna dantesca nella pittura, che esplode in Italia e in Europa soprattutto nell’800, il secolo dantesco. I preraffaelliti, le illustrazioni di Doré, la fortuna pervasiva delle immagini legate a personaggi emblematici, come Paolo e Francesca da Rimini, o al conte Ugolino, sono solo alcuni esempi di come nei secoli anche le immagini concorrano a filtrare la nostra memoria del poema. Ma non solo: abbiamo ripercorso la presenza della Commedia nel teatro, nella danza, fino al cinema, alla video arte, ai fumetti e ai videogiochi. Calvino aveva aperto con Dante la sua lezione americana sulla visibilità e aveva suggerito un accostamento con l’esperienza del cinema e della televisione. Sarebbe divertito, credo, a vedere come oggi Dante è presente nelle forme d’arte che usano le moderne tecnologie.
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