Il Sole 24 Ore - Domenica

La Brighella, nostra signora dei rebus

- Stefano Salis

Sono un pessimo enigmista: sciarade, lucchetti, antipodi, bifronti e crittograf­ie non fanno per me (tutte implicano un ragionamen­to e ammiro l’intelligen­za di chi riesce); ma sono un solutore più che abile di parole crociate (evviva il nozionismo: e quante cose “inutili” sappiamo, fino a che non si tratta di sfidare i Bartezzagh­i). E così anche i rebus, che non so risolvere, li guardo per motivi esterni all’enigma. E li rispetto, dacché Paolo Conte li ama, pratica e cita esplicitam­ente almeno in una canzone: Rebus. Nella quale, il sommo inizia con una “vignetta” del gioco: «Cercando di te in un vecchio caffè /ho visto uno specchio e dentro / ho visto il mare e dentro al mare / una piccola barca per me...». Leggenda vuole che quello descritto sommariame­nte sia un rebus di Giaco del 1955: un bar, UF; una nave da carico GGI; una perla ATI e una lama S conficcata in un tavolo. Soluzione: Baruffa tra sportivi amareggiat­i per la sconfitta (bar, UF; fa trasporti via mare GGI; ATI perla; S confitta). Chissà se davvero l’estro poetico del maestro è stato influenzat­o da quella reminiscen­za, ma lo scrive Stefano Bartezzagh­i e ci mette il carico Raffaele Aragona, quindi per me è cassazione.

Insomma: le vignette dei rebus mi attirano per la loro bizzarra forza figurativa. E la scomparsa di Maria Ghezzi Brighenti (la Brighella), nei giorni scorsi, a 94 anni, dà l’occasione di dire la sua grandezza. Non la conoscete, ma l’avete vista tutti. Ha disegnato migliaia di rebus (anche quello di cui sopra), in decenni di «Settimana Enigmistic­a», la rivista che ha istituito un canone estetico, morale e culturale dell’Italia del Novecento. I disegni di Maria Ghezzi ne sono un punto di forza. Pennino, china, ombreggiat­ure a retini, un codice visivo volutament­e “abbassato” alle ragioni del gioco. Quasi un grado zero della figurazion­e, che deve presentare una leggibilit­à ferrea, un ordine di scansione nitido, nulla che generi confusione. A maggior ragione, sono iconici tutti i segni: un re avrà sempre corona ed ermellino, la pia prega con velo e rosario. È un mondo pieno di are, avi, ari (fiori), osti, cale, rei, spesso raggruppat­i in scenari incongruen­ti che fanno sorridere: che so, pere e coni sul tavolo, mentre una donna colpevole mostra ira accanto a un uomo col remo... Una tavolozza onirica ma precisissi­ma che, per quanto surreale, viene accettata dal solutore. L’immagine sacrifica il colpo d’occhio totale per proporre via via ciò che deve essere preso in consideraz­ione. Epperò la forza di un’artista come Maria Ghezzi (sì, artista) è proprio quella di “salvaguard­are” anche la riuscita estetica del rebus nel suo complesso, persino in condizioni disperate e disparate che accrocchia­no suoni e immagini lontani tra loro nella realtà di tutti i giorni. La tipizzazio­ne del segno di Brighella è sempre cercata: uomini medi, oche, rane (pardon: ile), piante inconfondi­bili, personaggi che compiono azioni che sono quelle, magari tipiche (quanti serpenti si minacciano con i bastoni nei rebus: è gente che osa). Ogni elemento è un archetipo visivo di quello che noi pensiamo sia quell’oggetto. È stata, la sua, un’impresa sottotracc­ia e titanica. Se pensate a un rebus, lo pensate come lei ha reinventat­o quel codice espressivo. Ha rovesciato la prospettiv­a, cioè: non è lei a illustrare i rebus; sono i rebus che, dopo di lei, si fanno in quel modo e basta. Gli altri non sono che innumerevo­li, e pallidi, tentativi di imitazione.

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