La Brighella, nostra signora dei rebus
Sono un pessimo enigmista: sciarade, lucchetti, antipodi, bifronti e crittografie non fanno per me (tutte implicano un ragionamento e ammiro l’intelligenza di chi riesce); ma sono un solutore più che abile di parole crociate (evviva il nozionismo: e quante cose “inutili” sappiamo, fino a che non si tratta di sfidare i Bartezzaghi). E così anche i rebus, che non so risolvere, li guardo per motivi esterni all’enigma. E li rispetto, dacché Paolo Conte li ama, pratica e cita esplicitamente almeno in una canzone: Rebus. Nella quale, il sommo inizia con una “vignetta” del gioco: «Cercando di te in un vecchio caffè /ho visto uno specchio e dentro / ho visto il mare e dentro al mare / una piccola barca per me...». Leggenda vuole che quello descritto sommariamente sia un rebus di Giaco del 1955: un bar, UF; una nave da carico GGI; una perla ATI e una lama S conficcata in un tavolo. Soluzione: Baruffa tra sportivi amareggiati per la sconfitta (bar, UF; fa trasporti via mare GGI; ATI perla; S confitta). Chissà se davvero l’estro poetico del maestro è stato influenzato da quella reminiscenza, ma lo scrive Stefano Bartezzaghi e ci mette il carico Raffaele Aragona, quindi per me è cassazione.
Insomma: le vignette dei rebus mi attirano per la loro bizzarra forza figurativa. E la scomparsa di Maria Ghezzi Brighenti (la Brighella), nei giorni scorsi, a 94 anni, dà l’occasione di dire la sua grandezza. Non la conoscete, ma l’avete vista tutti. Ha disegnato migliaia di rebus (anche quello di cui sopra), in decenni di «Settimana Enigmistica», la rivista che ha istituito un canone estetico, morale e culturale dell’Italia del Novecento. I disegni di Maria Ghezzi ne sono un punto di forza. Pennino, china, ombreggiature a retini, un codice visivo volutamente “abbassato” alle ragioni del gioco. Quasi un grado zero della figurazione, che deve presentare una leggibilità ferrea, un ordine di scansione nitido, nulla che generi confusione. A maggior ragione, sono iconici tutti i segni: un re avrà sempre corona ed ermellino, la pia prega con velo e rosario. È un mondo pieno di are, avi, ari (fiori), osti, cale, rei, spesso raggruppati in scenari incongruenti che fanno sorridere: che so, pere e coni sul tavolo, mentre una donna colpevole mostra ira accanto a un uomo col remo... Una tavolozza onirica ma precisissima che, per quanto surreale, viene accettata dal solutore. L’immagine sacrifica il colpo d’occhio totale per proporre via via ciò che deve essere preso in considerazione. Epperò la forza di un’artista come Maria Ghezzi (sì, artista) è proprio quella di “salvaguardare” anche la riuscita estetica del rebus nel suo complesso, persino in condizioni disperate e disparate che accrocchiano suoni e immagini lontani tra loro nella realtà di tutti i giorni. La tipizzazione del segno di Brighella è sempre cercata: uomini medi, oche, rane (pardon: ile), piante inconfondibili, personaggi che compiono azioni che sono quelle, magari tipiche (quanti serpenti si minacciano con i bastoni nei rebus: è gente che osa). Ogni elemento è un archetipo visivo di quello che noi pensiamo sia quell’oggetto. È stata, la sua, un’impresa sottotraccia e titanica. Se pensate a un rebus, lo pensate come lei ha reinventato quel codice espressivo. Ha rovesciato la prospettiva, cioè: non è lei a illustrare i rebus; sono i rebus che, dopo di lei, si fanno in quel modo e basta. Gli altri non sono che innumerevoli, e pallidi, tentativi di imitazione.