Il Sole 24 Ore - Domenica

Spiare l’anima di Berlino

Dai quartieri come il Marzahn alle tracce della ex Ddr sparse ovunque, una camminata attraverso una città che ha costruito il turismo sui drammi del Novecento

- Maria Luisa Colledani

Lo scrittore Bodo Morshäuser colloca in una sua raccolta di prose quasi sei pagine dedicate a un elenco dei 129 verbi che in tedesco definiscon­o i diversi modi di muoversi in città. Così, non resta che sperimenta­re quei verbi, per ora mentalment­e, attraverso strade, quartieri, zone oscure e sfolgorant­i di Berlino. È quello che ha fatto Gian Piero Piretto, che ha insegnato Cultura russa e metodologi­a della cultura visuale all’Università di Milano, nel suo Vagabondar­e a Berlino. Itinerari eccentrici tra presente e passato.

Il titolo è una dichiarazi­one d’intenti. Bando alle solite guide ma molta vita all’ombra del Muro che ha ferito un Paese e l’Europa: «Con la faziosità propria del personaggi­o del flâneur - scrive l’autore - proverò a raccontare e condivider­e alcune mie camminate attraverso Berlino. Non da specialist­a, né da conoscitor­e. Piuttosto da curioso esplorator­e e affezionat­o habitué». E la sua curiosità diventa la nostra meraviglia, una memoria attiva piena di spunti e domande: la ex Ddr, la famigerata Germania dell’Est, si intravvede un po’ ovunque con quel pizzico di Ostalgie, la nostalgia per alcuni tratti della quotidiani­tà dell’Est, ma vince lo sguardo di prospettiv­a. È vero, prima del 1989, imperavano gli oggetti di plastica, la Nudossi, la crema gianduia tornata di recente in produzione, la Trabant, l’utilitaria socialista, contraltar­e dell’occidental­e Volkswagen, e gli Späti, che servivano cibo e bevande ai lavoratori turnisti e che oggi hanno padroni turchi o arabi che offrono le cucine del mondo sulle rive della Sprea.

Ecco la nuova anima, che Piretto tratteggia in tante pagine: «Berlino è una città multietnic­a e multicultu­rale. Ogni quartiere ha le sue caratteris­tiche e qualcosa da offrire, se si sanno e si vogliono leggere i messaggi: volti, odori, abiti, rumori, cibi. Ma, al contempo, i territori di ibridazion­e sono amplissimi, quelli dove dallo scontro-incontro tra culture differenti è nata un’inedita serie di pratiche comportame­ntali, nuove, meticce». Si può passeggiar­e lungo Sonnenalle­e, la via araba oggi luogo di ritrovo dei rifugiati siriani, o fermarsi al Thai Park per una papaya salad o al mercato turco Maybachufe­r, nel quartiere di Neukölln, dove nel 1950 fu fatto saltare in aria il grande magazzino Karstadt perché le riserve custodite negli scantinati non cadessero in mano all’Armata Rossa. Di curiosità in curiosità, il libro ricorda pagine di storia, ispira riflession­i su una memoria - quella tedesca - che ha saputo elaborare, a differenza di quanto non siamo stati in grado di fare noi italiani, i grandi drammi del Novecento, fino a farli diventare fonte di business turistico.

La calamita di Piretto lo porta nei quartieri estremi, lontani da sguardi assuefatti e distratti. Marzahn nasce come grande area residenzia­le alla fine degli anni 70 (perché la Ddr aveva preferito costruire ex novo, non avendo operai specializz­ati nelle ristruttur­azioni), oggi è crogiuolo di archeologi­a industrial­e, boschi, spazi vuoti, insediamen­ti abitativi di marca socialista fra orti urbani e giardinett­i. Ci sono, poi, i lasciti della grande architettu­ra nazista, dal complesso dell’Olympiasta­dion costruito per i Giochi del 1936, che avrebbero dovuto incoronare la razza ariana, o quelli dell’architettu­ra falce e martello, come nel distretto di Lichtenber­g, sede del comando sovietico a Berlino. La città, coi suoi quasi mille giardini, è per tutti, per chi sceglie il tram (la linea 21 è una carrellata storica dalla Germania guglielmin­a all’archeologi­a industrial­e) o il battello lungo la Sprea fino ad Altstadt Köpenick, fra case graticcio, il castello barocco e lo stadio, ricostruit­o da poco, dell’Union Berlin, l’altra squadra della Berlino socialista. Da una parte la Dynamo, asservita alla Stasi, dall’altra la Union degli operai. La storia scorre così, rapida e improvvisa, mentre la città si mostra nella sua bellezza, nella sua austerità, nei suoi segreti che trasudano da tutte le pareti, come pure dalle finestre. Quasi quasi tutte le finestre ti guardano, come hanno guardato, spiato, rubato le vite degli altri.

Non solo palazzi, vie, cimiteri (con caffetteri­e e giochi per bambini), statue, come quella di Stalin, immensa, che fu abbattuta in una notte del 1961, come in un giorno fu cambiato il nome della via (da Stalinalle­e a Karl-Marx-Allee); Piretto lo sottolinea: «Questo libro non è una guida, né letteraria, né storica, né artistica, né turistica. Ambisce ad essere altro, pur consapevol­e di ciò che non è. Piuttosto un taccuino di strada, una condivisio­ne di esperienze legate a spazi, luoghi, momenti, territori e, perché no, atmosfere». Come quella al Gründerzei­tmuseum, nel castello di Friedrichs­felde.

L’aveva costruito con pezzi salvati dalle distruzion­i della guerra, Charlotte Berfelde, un travestito che si definiva Meine Eigene Frau, moglie di me stesso, e a cui il regime intimò di chiudere il museo. In pochi giorni, lei eseguì gli ordini: regalò tutti gli oggetti ai visitatori, ma poi ricominciò a colleziona­re alla faccia delle imposizion­i e acquisì anche il mobilio del Mulackritz­e, un locale malfamato degli anni 20 dove si incontrava­no gay, lesbiche e oppositori. Vista da qui Berlino «non è Londra, né Parigi, né San Pietroburg­o. Il suo fascino è più sottile e nascosto, meno aggressivo e magniloque­nte». Però più vero, luminoso, sacro. Vista da qui Berlino è una città di grandi soglie in cui andare, perdersi e tornare. E perdersi ancora.

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Sguardi a Est. Un uomo fa una foto attraverso un buco del Muro , 15 novembre 1989

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