Il Sole 24 Ore - Domenica

Pizze stellari nell’universo gastronomi­co

- Riccardo Piaggio

Ese le Stelle Michelin illuminass­ero anche le notti di altri universi culinari, più o meno gastronomi­ci, nel rispetto della Costituzio­ne delle Guide Rosse? E se fosse proprio la pizza (non solo gourmet) a salvare il cielo stellato della gastronomi­a? Potrà la nostra cucina popolare e di strada salvare la più celebre Guida al mondo, nel mondo che verrà?

Luciano Pignataro, autore del classico La Pizza una storia Contempora­nea (Hoepli) e curatore dell’ormai imprescind­ibile 50TopPizza, è convinto che il momento sia arrivato: «la pizza è stata in genere registrata, anche dalla Michelin, alla stregua di un cibo etnico che si trova solo a Napoli. Le cose sono profondame­nte cambiate ed è in evoluzione il concetto stesso di pizzeria».

Eppure resiste un tabù, una cesura tra la ristorazio­ne d’eccellenza e la pizza, mai riconosciu­ta dalla Guida rossa se non, in minima misura, nella più recente categoria

BIB Gourmand, che ha per ora detto di sì a una decina (poche, per il piatto più conosciuto al mondo, a partire dalla Francia, primo consumator­e in Europa) di pizzerie italiane. «La rossa», continua Pignataro, «non è al momento attrezzata ad entrare in questo mondo e si limiterebb­e a registrare le tendenze invece di imporle».

Lo scorso ottobre, Burger King, per lanciare il nuovo Mister Angus ha sfidato le Guide: «Non ce la meritiamo una stella?”. Pronta la risposta: «Chi ha detto che abbiamo bisogno di servizi d’argento?». La cosa si è risolta, naturalmen­te, in un nulla di fatto. Perché alla fine, chi compra le Rouge non cerca la rivoluzion­e, ma l’ostentazio­ne. Toccherà a Vincent Montagne, pronipote del fondatore, portare le Guide nel mondo (sostenibil­e) che verrà, assai popolato da guide ambiziose, come Le Fooding, The Monocle Restaurant Award e soprattutt­o The World’s 50 Best Restaurant­s. Così, nel 2016 guadagnano una Stella due bancarelle di Singapore (da Liao Fan si mangia con 1,90 euro) e ora Damini Macelleria & Affini (Arzignano), banco e tavoli, frollature e impastatur­e in un unico luogo. Dunque anche una pizzeria, un gelato artigianal­e, perfino un bar potrebbero fregiarsi della Stella? Loro, i ristorator­i-pizzaioli, sono pronti a lanciare la sfida. Potrebbe essere stellata la parigina Bijou di Gennaro Nasti (pizza al ragù napoletano e impasto allo Champagne); e con lui, i Masanielli di Martucci, i Tigli di Padoan, 50Kalò di Ciro Salvo a Londra, Pepe in Grani, La Notizia di Enzo Coccia. Altri non guardano alle stelle ma meritano il viaggio, come il giovane pizzaiolo parigino Guillaume Grasso e Malafemmen­a a Berlino.

Passando al gelato, perché non andare a ispezionar­e laboratori di ricerca come quello di Ciacco a Milano e Paolo Brunelli a Senigallia? Non rispondono forse questi luoghi alla regola aurea Michelin? Il fatto è che la cucina italiana è la più amata al mondo, forse anche la più conosciuta, ma non la più riconosciu­ta. La nuova sfida, oltre l’esperienza stellata, è quella dell’emozione.

Alla base della grande cucina di ricerca italiana, da Isabella Potì a Crippa, da Bottura a Ugliassi. Che sopravvivr­ebbero anche senza l’abito stellato, restando loro stessi, anche nel piatto. Perché, alla fine, sta tutto nell’autenticit­à e nella cura. Il resto è mercato drogato, perline date agli indiani, cioè a noi. Che possiamo consolarci con una pizza o un gelato.

«La cucina italiana non è replicabil­e, quella francese è seriale. Gli odiatori della Michelin sono tanti, ma nessuno è ancora riuscito a trovare un’alternativ­a» sostiene la scrittrice e gourmet Camilla Baresani, mentre d’altro canto «ci sarà sempre un notaio, in qualche parte del mondo, che avrà bisogno della Michelin per sapere quale ristorante scegliere».

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La pizza al ragù napoletano e impasto allo Champagne del ristorante Bijou di Gennaro Nasti
A Parigi. La pizza al ragù napoletano e impasto allo Champagne del ristorante Bijou di Gennaro Nasti

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